
Michael Oher è un giovane ragazzo di colore abbandonato dai genitori. La mamma è tossicodipendente, il papà è scomparso da tempo. Nessuno lo hai mai aiutato, se non un ex vicino di casa che è riuscito a farlo ammettere in una prestigiosa scuola privata, senza però poi preoccuparsi di mantenerlo o offrirgli un posto dove dormire. Nel suo nuovo college, Michael conosce la ricca mamma (la Bullock) di una compagna di classe che, non appena viene a sapere le condizioni di vita del ragazzo, decide di ospitarlo in casa propria. Lei lo ascolta, lo sprona, gli offre quell’affetto che nessuno gli aveva mai dato e, grazie anche al resto della famiglia, Michael diventa un asso anche nello sport. Con il suo fisico, 190 cm per 140 kg, giocare bene a football è obbligatorio.

Il “The Blind Side” del titolo, ovvero il lato cieco a cui ci si riferisce, è quell’angolo di visuale che il quarterback di una squadra di football non può vedere mentre gli avversari cercano di placcarlo. Nel film scritto e diretto da John Lee Hancock (“Alamo - Gli ultimi eroi”), tratto dal libro omonimo di Michael Lewis, la metafora sportiva serve per descrivere il carattere iper-protettivo del protagonista. Un pretesto piuttosto banale, ma che almeno dà un minimo di spessore drammaturgico ad una perfetta storia da American Dream: non è importante da dove parti, se ti impegni al massimo, avrai successo. Quella di Michael Oher è infatti una storia vera: parliamo di una delle stelle del football americano contemporaneo. Come se noi facessimo un film su Antonio Cassano e sulla sua difficoltà di venire fuori da Bari vecchia. Non c’è nulla di male, anzi, potrebbe essere interessante. Il film di Hancock è un buon lavoro, tanto convenzionale quanto comunque fluido e dalla morale positiva e comprensibile.

Ciò che infastidisce è purtroppo il suo insistere nell’essere una pellicola “repubblicana”. In una nazione in cui “democratico” e “conservatore” sembrano essere le due uniche possibilità per identificarsi da un punto di vista politico, in “The Blind Side” ci sono così tanti richiami alla religiosità della famiglia protagonista esplicitamente correlati con il fatto che i genitori della stessa votino per McCain, Palin, Bush and Co, che non si capisce bene dove inizi la voglia di raccontare una storia vera e dove quella di fare un manifesto politico utilizzando una biografia. I bianchi ricchi possono essere buoni, fare beneficienza e addirittura prendersi un nero in casa. Certo, è un nero con un talento particolare e ha un cuore grosso come una casa, ma bisogna pure iniziare da qualche parte. C’è un sottile razzismo in tutto ciò, qualcosa che il fatto che si parli di una storia vera non giustifica del tutto.

La Bullock, imbruttita da un tinto biondo che mette i brividi già dopo pochi fotogrammi, riesce a dare la giusta grinta ad un ruolo che piacerebbe a qualsiasi attrice. Dentro c’è determinazione, praticità, amore, senso della famiglia, donazione di affetto senza tornaconto.