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Il curioso caso di Benjamin Button - La recensione

Dopo il bellissimo "Zodiac", Fincher ci riprova e, per la prima volta, cerca il consenso dell'establishment. Bravo Brad Pitt, più brava Cate Blanchett.

Il curioso caso di Benjamin Button

12.02.2009 - Autore: Adriano Ercolani
Dopo che l’anno scorso l’Academy ha premiato un capolavoro spiazzante e totalmente nichilista come “Non è un paese per vecchi” (No Country For Old Men, 2007) dei Fratelli Coen, era anche pensabile che quest’anno si sarebbero mantenuti su posizioni più benevole, magari anche retoriche. Ma pensare che i favoriti all’Oscar 2008 sarebbero stati i due lungometraggi di sicuro più sopravvalutati dell’anno, beh, questa è una vera e propria sorpresa, e purtroppo sgradita.

Dopo “The Millionaire” (Slumdog Millionaire, 2008) di Danny Boyle, dunque anche l’attesissimo “Il curioso caso di Benjamin Button” (The Curious Case of Benjamin Button, 2008) di David Fincher si rivela una sonora delusione, e sotto molteplici punti di vista.

Primo tra tutti proprio il suo autore, che fin dalle primissime scene dimostra di non avere per nulla nelle sue corde un tipo di storia e di racconto che molto si accostano all’epopea tutta hollywoodiana, alla parabola esistenziale che tanto piace alle mega-produzioni dello star system. Fincher davvero non aveva mai dato prova in passato di cercare il consenso dell’establishment in maniera tanto spudorata, neppure in un film dall’impianto più “classico” ma totalmente arrischiato come il bellissimo, precedente “Zodiac” (id., 2007). Con questa sua ultima pellicola invece il cineasta dimostra di cedere all’estetica modaiola e eccessivamente sfruttata della visione cinematografica retrò, elegante nella confezione quanto sinceramente anonima nella resa. Dalla fotografia ai costumi, dal montaggio alle musiche, tutto in “Benjamin Button” è artificioso, preconfezionato, costruito apposta per compiacere il pubblico invece di solleticarlo.

Molta responsabilità nella riuscita a dir poco alterna della pellicola è poi da attribuire anche alla sceneggiatura di Eric Roth, che insieme a Robin Wiscord ha adattato il racconto breve di F. Scott Fitzgerald tenendo però eccessivamente presente la sua precedente, grande sceneggiatura di “Forrest Gump” (id., 1994) di Robert Zemeckis. Moltissime situazioni, molti momenti, la passività di fondo de protagonista che viene “agito” dalla storia invece che cavalcarla, molte metafore sulla mancata maturità dell’America, vengono riproposte in maniera pedissequa, ma in questo caso scontata.

Dato che per “Il curioso caso di Benjamin ButtonBrad Pitt è riuscito ad arrivare alla sua seconda nomination all’Oscar, la prima come attore protagonista, i membri dell’Academy devono aver visto nella sua interpretazione che a noi è sinceramente sfuggito. Molto meglio di lui la sua compagna Cate Blanchett, anche se pure per lei non si tratta di certo della migliore performance vista fino ad ora.

Smaccatamente costruito per accontentare il pubblico meno esigente ed i gusti conservatori di chi da i premi ad Hollywood, quest’ultimo film di David Fincher è un polpettone indigesto nella prima parte, che migliora quando parte la trama principale, e cioè la storia d’amore tra i due protagonisti. Ma ciò di sicuro non basta per tirar fuori l’opera dalle sabbie mobili della noia.