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I dieci anni di Gran Torino, cinque ragioni per rivedere l'ultimo capolavoro di Clint Eastwood

L'ultimo grande film di un grandissimo autore. Nel suo decimo anniversario, è ancora un'opera attuale e memorabile

Gran Torino

11.12.2018 - Autore: Marco Triolo
In Italia sarebbe uscito a marzo 2009, ma in USA Gran Torino ebbe la sua prima distribuzione limitata il 12 dicembre 2008. Sono dunque passati dieci anni da quando il film di Clint Eastwood, da molti ritenuto il suo ultimo capolavoro, vide la luce la prima volta. Un bel traguardo per un'opera molto importante nella filmografia di Eastwood, una sorta di tarda riflessione sui suoi ruoli più duri e muscolari (Ispettore Callaghan su tutti). Ora che stiamo per vedere un nuovo film diretto e interpretato da Eastwood, Il corriere – The Mule (scritto dallo stesso sceneggiatore, Nick Schenk), celebriamo il decimo anniversario di Gran Torino elencando cinque ottime ragioni per rivederlo.

 
La chiusura del cerchio. 37 anni prima di questo film, Clint Eastwood aveva interpretato per la prima volta il ruolo di Callaghan nel seminale film di Don Siegel. Gran Torino può essere considerato una chiusura del cerchio rispetto a quel ruolo e quel cinema. Se la saga di Dirty Harry aveva raccontato la storia di un uomo solo contro tutti, asservito a una visione manichea del mondo che accostava i concetti di giustizia e vendetta, Gran Torino riflette proprio sulla solitudine e sul pregiudizio come cause dei mali della società. E ribadisce con forza come la giustizia sia una cosa molto diversa dalla vendetta e non abbia per nulla a che fare con la violenza.

 
Una storia di crescita. Gran Torino è anche una doppia storia di crescita personale. Da un lato certamente Thao (Bee Vang), il giovane vicino di casa di Walt (Eastwood) che tenta inizialmente di rubargli la preziosa Gran Torino, matura e diventa adulto e responsabile nel corso del film. Dall'altro, lo stesso Walt scopre che “non si è mai troppo vecchi per imparare”. Il suo iniziale pregiudizio nei confronti dei vicini di etnia Hmong si scioglie progressivamente, e Walt impara di nuovo ad aprirsi agli altri, tentando di vedere anche il mondo attraverso i loro occhi.

 
Clint Eastwood non è un fascista. Quante volte il regista è stato accusato di esserlo, da persone che non capiscono nulla della cultura americana? È vero, Eastwood è conservatore. È vero, ha detto che avrebbe votato per Trump (l'unico suo strafalcione vero degli ultimi anni). Ma fascista? Quello proprio no. Eastwood si è sempre detto contrario alla violenza, alla guerra. Ha portato avanti, con i suoi film (come Million Dollar Baby), anche punti di vista all'avanguardia capaci di far impallidire la sinistra italiana. E Gran Torino è la prova abbastanza netta di tutto questo: è un film che mostra come i cambiamenti non siano da temere. E lo fa parlando di immigrazione e integrazione tra culture, mostrando come sia paradossale temere l'immigrazione da parte di un popolo e un Paese che su di essa si fondano (e infatti Walt di cognome fa Kowalski). Chissà se nel frattempo Clint ha cambiato idea su Donald.


 
Un messaggio attualissimo. Si fa molto parlare oggi del problema delle armi in USA. Le armi hanno un ruolo centrale in Gran Torino: le impugnano i gangster che minacciano Thao e la sua famiglia. Le impugna Walt, veterano della Guerra di Corea, quando inizialmente fa la stessa confusione di Callaghan riguardo giustizia e vendetta. Ma proprio nella rinuncia alle armi sta la chiave di volta del film. Nell'usare il cervello anziché il piombo. Un film da fare vedere, oggi, a chiunque invochi una maggiore presenza di armi nelle vite degli americani... e nelle nostre.

 
Un finale perfetto. Clint Eastwood dà un'interpretazione definitiva in un film che chiude molti fili del suo cinema. E che si conclude con una scena che dice molto su di lui, sulla sua poetica, sulla maturazione di un artista che ha segnato il cinema americano come pochi. Se anche Eastwood avesse smesso di fare film, sia da attore che da regista, quell'inquadratura finale avrebbe chiuso nel modo migliore la sua opera. Lui ha voluto proseguire, e ora, con The Mule, sembra voler mettere una nuova parola fine a tutto. Di lui ci fidiamo assolutamente, ma Gran Torino avrebbe potuto bastare.

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