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I cinquant'anni di Rosemary's Baby, cinque ragioni per cui il cult di Polanski è ancora terrificante

Usciva il 12 giugno 1968 il capolavoro horror di Roman Polanski. Ecco perché ancora oggi è tra i film più spaventosi che vedrete

Rosemary's Baby

12.06.2018 - Autore: Marco Triolo
Il 12 giugno 1968, Rosemary's Baby usciva nelle sale americane e segnava un passo avanti molto importante verso il cinema horror moderno. A pochi anni da L'esorcista, e pochissimi mesi prima de La notte dei morti viventi, Roman Polanski fu tra i primi autori che, dopo la rivoluzione culturale, contribuirono a svecchiare l'horror, allontanandolo dalle radici gotiche che ne avevano dominato la storia sin dagli albori del cinema e trasformandolo in quello che è oggi. Un luogo terrificante in cui le nostre peggiori paure si infiltrano nel tessuto della realtà quotidiana, anziché essere raffigurate da scenografie impossibili o relegate a mondi lontani nel tempo.
 
A cinquant'anni di distanza, il capolavoro di Polanski, tratto dal romanzo di Ira Levin, è ancora spaventoso esattamente come allora, perché sa fare appiglio ai nostri desideri inconsci più profondi – la stabilità, una vita lussuosa, amici altolocati – ed evocare le nostre paranoie più radicate, tra cui la paura che la realtà che ci circonda sia frutto di un'enorme bugia studiata e concordata dagli altri. Per celebrare il film, abbiamo deciso di elencare cinque ragioni per cui è imperdibile ancora adesso.

 
Il cast. Mia Farrow non fu la prima scelta di Polanski, che avrebbe preferito Tuesday Weld o sua moglie Sharon Tate nel ruolo di Rosemary Woodhouse. La Paramount chiese però un nome più conosciuto e fu scelta la Farrow perché famosa come star della serie Peyton Place e come nuova moglie di Frank Sinatra. Una scelta che si rivelò perfetta, perché la sua figura longilinea risulta particolarmente credibile quando la salute di Rosemary inizia a peggiorare. Fantastica anche Ruth Gordon nel ruolo di Minnie Castevet, la vicina che nessuno vorrebbe avere. L'attrice vinse un meritato Oscar per il ruolo. E poi ovviamente ci sono John Cassavetes e Sidney Blackmer nei panni di Guy Woodhouse e Roman Castevet. Un mix di nuova e vecchia Hollywood in perfetto equlibrio.

 
Il Dakota. Gli interni di Rosemary's Baby furono girati in studio, ma all'esterno il palazzo Bramford non è altro che il Dakota, storico palazzo dell'Upper West Side di Manhattan, edificato nel 1884. Il condominio ha ospitato molte celebrità nei decenni, tra cui Lauren Bacall, Leonard Bernstein, Rosemary Clooney, Judy Garland e naturalmente John Lennon, che proprio lì fu assassinato nel 1980. Il film di Polanski fa ottimo uso dell'aspetto elegante, e allo stesso tempo inquietante, del Dakota.

 
Il sabba. La sequenza in cui Rosemary viene violentata da una figura demoniaca – probabilmente Satana in persona – è impressionante oggi come allora. Rivela quanto basta per far venire la pelle d'oca allo spettatore e non può lasciare indifferenti. Non osiamo nemmeno immaginare che razza di impatto debba aver avuto allora sui pubblici di tutto il mondo.

 
La colonna sonora. Le musiche scritte da Krzysztof Komeda sono l'antesignano di molte colonne sonore horror moderne. In particolare la ninna nanna cantata dalla stessa Farrow anticipa un trend che sarebbe esploso nel decennio successivo, nel modo in cui utilizza una melodia innocente in un contesto di orrore puro.

 
Il finale. Non si può certo dire che quello di Rosemary's Baby non sia un finale coraggioso. Il cinema horror, storicamente, tende a non concedere il lieto fine, o per lo meno a “sporcarlo” con colpi di scena che lo mettono in discussione. Ma il finale di Rosemary's Baby è uno schiaffo alla morale corrente perché afferma che le tentazioni – potere, denaro, successo – siano così forti da non poter essere vinte dalle persone comuni. E ci lascia con una sensazione di gelo nello stomaco, come solo i veri capolavori sanno fare.