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Clint a cuore aperto, dalla morte sfiorata alla verità su American Sniper

Il celebre regista si racconta senza filtri agli studenti della Marymount di Los Angeles

18.03.2015 - Autore: Mattia Pasquini
"Volevo solo cinque, sei mesi liberi per migliorare nel golf" è una delle confessioni emerse dall'incontro di Clint Eastwood con gli universitari della Loyola Marymount University School of Film & TV di Los Angeles, forse la più accorata, dopo che avendo lavorato a Jersey Boys e American Sniper - montando uno mentre girava l'altro - "la cosa peggiore che potesse capitare sarebbe stata che qualcuno si fosse presentato con una splendida sceneggiatura!".

Ma di altro tenore sono state le altre rivelazioni del regista di San Francisco, che - sollecitato - ha lungamente parlato di guerra, a 360 gradi, da quella vissuta a quella mostrata sullo schermo, fino alla volta che da militare aveva rischiato di morire. Nell'autunno del 1951, quando ventenne si imbarcò su un bombardiere che dalla base di Monterey doveva riportarlo a Seattle a casa dai genitori. "Non sapevo nulla di aviazione all'epoca, volevo solo un passaggio - ha raccontato; - avevano solo un Douglas AD della Seconda Guerra Mondiale diretto ad Alameda. Ma tutto andò storto, le radio non funzionavano, l'ossigeno era terminato e alla fine anche il carburante fini' mentre eravamo sopra Pont Reyes, facendoci precipitare nell'Oceano". "Era novembre… e l'acqua era molto fredda. E solo molti anni più tardi ho scoperto che era una zona di allevamento dello squalo bianco - ha aggiunto. - Sono contento di non averlo saputo allora o sarei morto di paura". "Ho avuto paura, una terribile paura, un assoluto terrore", ammette ricordando quel momento chiave.

Che però non sembra aver influenzato i suoi film, o la sua vita, vista la quantità di war movies che costellano la sua carriera. "Sono contro la guerra. Ho fatto film di guerra perché sono carichi di dramma… ma riguardo alla partecipazione a un conflitto, è una di quelle cose che deve essere affrontata pensandoci molto bene, se si debba fare o meno. L'autodifesa delle nazioni è una cosa molto importante, ma non mi piace". "Non ero un sostenitore della guerra in Iraq o in Afghanistan, per molte ragioni, anche pratiche", ha detto sorprendendo quanti ancora lo considerano un democratico militarista, e sottolineando ulteriormente: "Propendo per il 'meno è meglio'…".

E riguardo alle polemiche più recenti, quelle che hanno circondato il suo ultimo splendido American Sniper, ormai diventato il suo film di maggior successo (almeno commerciale, con 517 milioni di dollari di incasso totali), ha tenuto a spiegare che "in qualche maniera glorifica la guerra, ma mostra anche i rimorsi dell'eroe raccontato". "Credo sia un film 'anti', ma dipende da come vuoi vederlo - ha contnuato. - Credo sia buono per i veterani perché mostra quello che hanno passato, la loro vita. Delle loro mogli e famiglie. Lo stress al quale son stati sottposti. E credo che tutto questo ne faccia un film 'anti-guerra'.".

Consapevole della sua 'reputazione' da duro ("ma non ci penso molto"), ha svelato di amare i film gialli e di azione e di essere una persona sensibile e felice. E che ha attualmente un paio di progetti in fase di sviluppo… Il primo, ovviamente, il tanto chiacchierato remake di E' nata una stella: "Ne ho parlato per un po' con la gente della Warner Bros, e stiamo ancora giocando con la possibilità di farlo, ma il problema è che inizialmente loro erano più interessati al casting del film. Volevano avere Beyoncé, che era molto popolare, e anche molto attiva, il ché la rende difficile da inserire in una programmazione e questo ha bloccato tutto", ha confermato prima di concludere con un promettente "c'è anche un'altra cosa alla quale mi sto rivolgendo che è interessante". Purtroppo è ancora presto per sapere di più…