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Celeste Moratti, una detective donna nei sobborghi di Bucks County 

Al Courmayeur Noir in Festival il racconto del mestiere d’attrice tra l’Italia e l’America
   

10.12.2015 - Autore: Alessia Laudati (Nexta) - da Courmayeur
Una donna, che nonostante un cognome importante (è infatti la primogenita dell’ex presidente dell’Inter Massimo Moratti) ha smesso da tempo di essere la 'figlia di'. Che, vivendo negli Stati Uniti da quindici anni, ccontinua a cercare di costruirsi una carriera da attrice e regista all’interno del difficile mercato americano - sia cinematografico, sia dello spettacolo dal vivo - e a farlo accettando anche sfide complesse. Come il ruolo della detective Aimee Dobkins in Traffickers, per la regia del venticinquenne Sean Roberts e in concorso al Courmayeur Noir in Festival 2015. Un film girato quasi come un documentario, che testimonia la durezza di una guerra tra gang per spartirsi il traffico di droga nel sobborgo di Bucks County in Pennsylvania.
Incontriamo Celeste Moratti a Courmayeur, in occasione del Noir in Festival, e ne scaturisce una piacevole chiacchierata sulla sua esperienza di attrice, sullo stato del cinema indipendente negli Usa, sulle differenze inevitabili tra i due continenti, l’Europa e gli Stati Uniti, e su una “minaccia” culturale chiamata Donald Trump

 
Com’è arrivata, partendo dall’Italia, a girare un film ambientato totalmente nella provincia della middle class americana? 
Tutto è nato da Sean Roberts che è un giovanissimo autore cresciuto a Bucks County, un sobborgo abbastanza ricco in Pennsylvania dove c’è un traffico di droga persistente, come spesso avviene in queste province. Lui aveva questa necessità di raccontare la sua storia. È venuto quindi fuori questo film. Al quale sono stata coinvolta a lavorazione iniziata. L’attrice che interpretava Dopkins, infatti, aveva lasciato il set. E io avevo lavorato già con Christopher Pickhardt, in Fight The Panda Syndicate nel 2008. Quindi mi ha mandato il copione, e in una settimana ero sul set. Il film è a low budget. Anzi micro. L’abbiamo girato con un totale di 30.000 dollari raccolti su Kickstarter e io figuro come executive producer insieme a Christopher perché davamo una mano con i panini e cose così. E poi l’ho voluto portare io nei festival perché secondo me è una storia che fuori dall’America può essere apprezzata perché non si ha paura di guardarla. Invece in Italia ho lavorato solo nel film Uomo Gallo di Dario D’Ambrosi nel 2010. 
 
A quale immaginario ti sei ispirata, sia cinematografico sia televisivo, per costruire la tua detective donna?
A livello televisivo, io guardavo una serie degli anni ’90 - NYPD Blue - che era molto realistica sul ruolo della polizia. In quella settimana di preparazione mi sono fatta un po’ di ricerche. Essere donna in quei contesti significa stare tutto il giorno in ufficio a fare report; per cui per lei l’occasione di indagare su questo crimine e' la possibilità della vita. Inoltre si sviluppa un rapporto personale con il personaggio interpretato da Sean, quasi materno. È inoltre una donna che si spoglia della propria femminilità. In quel momento avevo appena partorito quindi avevo qualche chilo in più, e questo poteva dare realtà al personaggio. 

 
Il rapporto tra la provincia americana e quella italiana?
Io vivo a New York. Una realtà diversa dall’America in generale. Abbiamo girato a 50 chilometri da Manhattan, in Pennsylvania. Lì c’è la libera circolazione delle armi da fuoco. È una provincia dove c’è diffidenza verso l’esterno e nei confronti del melting pot. Ma le province si somigliano tutte in termini di chiusura. È una zona conservatrice dal punto di vista politico. Io viaggio molto negli States per lavoro, e appena esci da New York il paesaggio culturale cambia moltissimo. 
 
E Donald Trump? 
Noi anche in Italia, abbiamo avuto vari esempi di chi puntava al minimo comun denominatore. Se arriva qualcuno che ha uno charme da 'uomo ricco che è arrivato al successo partendo dal basso' incarna in qualche modo il simbolo del sogno americano. Di certo ma non lo voterei.
 
Se vince, torna in Italia?
Non lo so. Ma è il candidato forte dei repubblicani. Un uomo che promette di abbassare le tasse lo voti, ma è un’illusione. E lui sta vincendo nei poll. 
 
Ha delle simpatie politiche particolari?
Non posso votare ancora. Però non mi considero né liberal né repubblicana. La politica è legata ai soldi in America. C’è un problema di lobby. Bernie Sanders, che ora corre con i democratici, mi piace perché è un indipendente e quasi un anarco-socialista, e si oppone al legame drammatico tra soldi e politica. Soprattutto in un paese dove il finanziamento ai partiti politici è legale. 
 
Come funziona la piccola distribuzione in USA? 
In America il 90% dei film rimane nel cassetto. Adesso lo streaming è una realtà. Lì si sta già restringendo, ma in Europa è nuova. Secondo me quella è la via per il futuro indipendente dei piccoli film. Si va ai festival anche per questo. È già andato al Philadelphia Independent Festival e Sean ha vinto sia come miglior film sia come migliore attore. Sono contenta quindi di essere qui. Tengo molto all’opinione di Giorgio Gosetti
 
È anche regista?
Sì, di teatro. Sto facendo la regia di Amleto - già fatta a Milano - e a marzo debuttiamo al Teatro Circulo di New York nel cicuito Off-Broadway. Poi però sono attrice. E su questo negli Stati Uniti resto comunque una straniera: lavoro, certo non mi posso lamentare, però non sono un tipo specifico. Ed è difficile lavorare se non sei la ragazza della porta accanto, o il tipico nerd. Adesso reciterò in Amleto e poi nel nuovo film di Sean Roberts – Cold Hands – dove sarò una donna di mafia in Pennsylvania e farò delle cattiverie pazzesche.
 
 
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