Vision
Hildegard von Bingen - realmente esistita - è la decima figlia di una riccca e nobile famiglia tedesca e si accorge ben presto di avere una spiccata sensibilità visionaria, ma lo nasconde a tutti. Alla nascita è stata promessa a Dio e all'età di 8 anni consegnata ad un Monastero Benedettino. Diventata più tardi la badessa del convento, abile nella medicina, ha una sconvolgente apparizione che le ordina di rivelare messaggi divini di cui è a conoscenza. Nonostante lo scetticismo e il sospetto di eresia, il Papa la sostiene e le concede di pubblicare le sue visioni. La sua vita cambia, costruisce un suo convento e dà vita ad un rivoluzionario approccio umanista e femminista alla fede.
Una delle più grandi autrici di cinema tedesco, Margarethe Von Trotta, ha presentato in concorso qui al Festival di Roma il suo nuovo "Vision"
(id., 2009), storia della suora Hildebrand von Bingen, che nel Medioevo
diede vita ad un approccio più umanista e femminista alla fede,
diventando in questo modo una sorta di rivoluzionaria.
Il cinema della Von Trotta
ormai si è assestato su dei binari ben stabiliti, che fanno del
racconto il suo cardine principale, a costo di rischiare di scadere
nella verbosità. Da sempre attenta scrutatrice dell'universo femminile,
la regista anche questa volta non riesce a contenere la sua tensione
verso la staticità, costruendo pezzo dopo pezzo un lungometraggio
lento, accademico, a tratti ridondante nell'uso dei dialoghi. A
sorreggere però "Vision"
concorre una messa in scena di livello assolutamente elevato: dal
taglio delle inquadrature ai movimenti di macchina sinuosi, passando
anche per una fotografia di magnifica densità cromatica, il film viene
risollevato grazie ad una regia di impatto potente, che in alcune
soluzioni visive davvero lascia ammirati. La Von Trotta, altrove
regista sobria e stilizzata, scatena in questo lungometraggio tutta la
sua capacità tecnica e realizza un puzzle cinematografico variegato ed
elegantissimo.
A conti fatti "Vision"
è una pellicola che spiazza, in quanto poggiata su una sceneggiatura
fangosa e priva di ritmo che però viene animata dalla forza della messa
in scena. Il giudizio complessivo sull'opera della Von Trotta
rimane quindi in bilico, ma se dovessimo per forza far pendere la
bilancia da una parte, sceglieremmo di promuovere questa sua ultima
fatica in virtù della bellezza abbagliante delle immagini, arma in più
per questo dramma scuro e volutamente autunnale.
Vale infine la pena sottolineare la prova d'attrice rigorosa e dolente di una bravissima Barbara Sukowa,
finalmente tornata a livelli meritevoli dopo un periodo di tempo in
cui, almeno in Italia, era caduta nel dimenticatoio. Non fosse per
altro, "Vision" merita la visione almeno per riscoprire le capacità della sua interprete principale.