Viola di mare
In una piccola isola immaginaria della Sicilia ottocentesca, durante lo sbarco dei Mille, la venticinquenne Angela cerca di sopravvivere allo scandalo della propria omosessualità, accettando di fingersi uomo. Rinchiusa in una grotta dal padre-padrone, dopo il suo rifiuto a sposare l'uomo scelto per lei, la donna viene salvata con uno stratagemma dalla madre, che convince il curato a cambiarle nome e sesso sulle carte dell'anagrafe. Angela diventa Angelo: coppola, sigaro in bocca, una famiglia benedetta dal Signore. Intensa storia di frontiera, geografica e identitaria, che intreccia leggenda, verità e poesia, rievocando uno scandalo antico, perduto.
Dalla realtà al romanzo ("Minchia del re" del trapanese Giacomo Pilati) per poi arrivare al film, "Viola di mare".
Sicilia, fine '800. Una ragazza continuamente maltrattata dal
padre-padrone finisce con l'innamorarsi della sua migliore amica.
Impossibile soffocare lo scandalo, ma poiché il papà è un po' il capo
del paese (è lui a dirigere i lavori in quella cava di tufo che dà
lavoro a tutta la comunità) forse c'è una soluzione che potrà fare
tutti contenti. Fare come la "viola di mare"...
Non diciamo di più per non anticipare una svolta narrativa interessante
che, a circa metà del film, cambia un po' le carte in tavola. Peccato
che sia uno snodo narrativo a sé stante. Dopo aver assistito per quasi
un'ora all'amore platonico tra le due ragazze, con una serie di scene
ripetitive tanto nella costruzione (lei insegue lei ovunque sia e le fa
ogni volta qualche smorfietta imbarazzata) che nel contenuto (dopo poco
tempo si capisce che si piacciono, insistere su questo per circa
sessanta minuti è un po' troppo), si passa ad una seconda parte
altrettanto statica. Poco e nulla si approfondisce la difficoltà dello
stare assieme per le due donne, così come il mutato rapporto con il
padre appare un dettaglio sullo sfondo. Il problema è che non vengono
scavati in profondità gli animi delle due protagoniste. Non ci sono mai
sfumature: una volta capito il desiderio e l'obiettivo, tutto va con
forza in quella direzione senza possibilità di sfumature o
ripensamenti. L'idea di un tormentato amore lesbico in una società
fortemente patriarcale come quella siciliana di due secoli orsono
rimane così bidimensionale, non esce dallo schermo coinvolgendo
l'emotività, ma rimane stagliata su di uno sfondo dove tutto è chiaro e
ben delineato. La chiusura , come al solito per un film drammatico
sull'omosessualità, coincide con la morte di uno dei personaggi. Forse,
nella migliore delle ipotesi e a prescindere da ciò che racconta il
libro (un film è un film, può anche tradire la sua fonte), c'è
nell'epilogo la volontà degli autori di simboleggiare anche la voce
della "natura" o quantomeno quella di una società non ancora pronta,
incapace di accogliere una nuova creatura nata da un rapporto così
particolare, ma queste sono tutte interpretazioni forzate che facciamo
qui noi ora, considerazioni nate dalla necessità di volere dare un
senso a qualcosa che apparentemente non lo , di avulso dal restante.
Purtroppo appaiono inadeguate sia Valeria Solarino che Isabella Ragonese.
Denti bianchissimi, sempre vestite di tutto punto (con tanto di
giovanile borsa a tracolla in pendant con l'abito), lavate e truccate
proprio come una serata di gala, per quanto siano volitive e generose,
mettendo il proprio corpo al servizio della sceneggiatura, sembrano
personaggi caduti lì per caso. A loro discapito c'è da dire che i
dialoghi non le aiutano a renderle credibili.
Nota a parte per Gianna Nannini, autrice della colonna sonora. Da una parte è interessante la volontà della regista Donatella Maiorca di
utilizzare l'anacronistico suono della chitarra elettrica per una
storia "fuori dalle regole", purtroppo però in alcuni frangenti se ne
fa un utilizzo esagerato, come a volere ricordare a tutti che Gianna
Nannini collabora al film.
Sulla regia: il budget chiaramente limitato (scenografia, fotografia e
costumi sembrano sempre dei compromessi) si fa sentire, ma seppur non
facendo nulla di eccezionale, la Maiorca (già autrice del quasi omonimo "Viol@") riesce a rendere fluido il racconto, provando alcuni movimenti
di macchina interessanti e sviando un poco l'attenzione da una
sceneggiatura avara di grandi significati.
A prescindere da tutto, "Viola di mare"
è un film a suo modo coraggioso soprattutto se considerata la banalità
di tante altre storie che il nostro cinema ci offre. Peccato però che
non si possano premiare solo le intenzioni.