Una vita tranquilla
Rosario Russo è un ristoratore originario del Sud Italia perfettamente integrato in Germania. Ha cambiato identità, mantiene un basso profilo, parla un impeccabile tedesco e nulla lascia trasparire delle sue origini. Finché un giorno il passato non riappare sotto le sembianze del figlio Diego.
Rosario Russo (Toni Servillo) caccia cinghiali e li cucina nel ristorante del suo albergo in Germania. Ha anche una moglie, Renate (Juliane Kohler), e un figlio piccolo (Leonardo Sprengler).
Edoardo (Francesco Di Leva) e Diego (Marco D'Amore),
due “malamente”, sono in terra tedesca per portare a termine una
spedizione punitiva ai danni di un imprenditore che si occupa di
smaltimento di rifiuti campani.
Le strade di questi personaggi si incrociano nell'albergo di Rosario
che, come scopriamo, è un latitante, e in Germania ci è arrivato per
fuggire alla morsa della camorra e costruirsi una vita tranquilla.
Uno dei due ragazzi, Diego, è in realtà il figlio emulo, ingenuo e
rabbioso di quell'uomo che Rosario ha deciso di occultare dentro di sé e
il suo arrivo colpisce velenosamente la placida e laboriosa esistenza
che lo chef ha costruito con fatica, pazienza e abnegazione, riportando a
galla il terribile passato.
Claudio Cupellini torna dietro la macchina da presa a tre anni dall'esordio con “Lezioni di cioccolato” e porta al Festival di Roma il film italiano migliore visto in
concorso. Per farlo il regista rielabora un soggetto di Filippo Gravino,
vincitore del Premio Solinas nel 2003. Si tratta di una storia noir che
incrocia tragici episodi di vendetta mafiosa che rimandano il pensiero
alla strage di Duisburg, e una riflessione sulla duplice natura umana.
Proprio l'idea di riesumare questo genere cinematografico un po'
trascurato dal nostro cinema, appare indovinata, così come molto
interessante è il respiro più europeo che l'ambientazione transalpina
regala alla pellicola. Questa scelta trova un'ulteriore motivo di
seduzione nel meltingpot linguistico di un film che parla l'italiano, il
tedesco, l'italiano stentato di un tedesco, il napoletano: preziose
risorse espressive che colorano il microcosmo rigidamente pacifico della
provincia tedesca.
Si soffre purtroppo al contrario la traduzione di questa tranquillità in
uno sviluppo eccessivamente lento della narrazione che rivolge la testa
verso l'alto al cinema di Sorrentino senza averne ancora l'ossatura.
Ad assecondare l'ingrato paragone è senz'altro la presenza di Toni
Servillo che offre, nel caso ci fosse bisogno di dirlo, un'altra prova
della sua eccellenza che qui è camaleontica anche sul fronte idiomatico.
Sulle pieghe del suo volto elastico si poggia tutto, ma proprio tutto
il film, che però rischia di accasciarsi su questo trono regale senza
spiccare il salto in cerca di un'anima propria più incisiva.
Tutto è trattato con una mano ferma e distante e questo rende “Una vita tranquilla” un compito ben svolto ma non memorabile.