The Last Station

The Last Station - Locandina

Dopo quasi cinquant'anni di matrimonio, la Contessa Sofa, devota moglie di Leo Tolstoj, scopre improvvisamente che tutto il suo mondo va gambe all'aria. In nome della sua nuova religione utopica e delle sue idee anarco-cristiane, il grande romanziere russo ha rinunciato al titolo nobiliare e alle sue proprietà per diventare povero, vegetariano e celibee potrebbe inoltre essere stato convinto da Chertkov, il suo discepolo, a lasciare i diritti dei suoi iconici racconti al popolo russo anziché alla famiglia. Con ogni stratagemma, la donna lotta ferocemente contro la comunità libertaria che si è installata in casa sua per quel che ritiene le appartenga. Allontanata da Tolstoj riuscirà a rivederlo solo in punto di morte, nell'ultima stazione.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
The Last Station
GENERE
NAZIONE
Germania
REGIA
CAST
DURATA
112 min.
USCITA CINEMA
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2009

Roma (Cliccate qui per dare un'occhiata al nostro speciale sul Festival del Film) - Non essendo argomento obbligatorio da affrontare nei programmi scolastici dei nostri licei, i molti di noi che non hanno mai letto uno dei grandi scrittori russi del diciannovesimo secolo sono abituati a pensare alle loro opere come a qualcosa di "pesante". Ci si basa dalla voluminosità delle pagine dei loro libri, dall'idea che una cultura così fredda e per certi versi "lontana" non possa che aver prodotto testi di altrettanta complessità o lungaggine. E' facile così che, una volta aver preso con sé stessi del fatto che mai si leggerà qualcosa di questa grande e fondamentale letteratura per la nostra civiltà, difficilmente si ritornerà sui propri passi.

The Last Station James McAvoy

Facciamo questa premessa per una sola ragione: se anche non avete letto mai un libro di Tolstoj e pensate che, dato quel che, sbagliando, pensate del personaggio, anche un film a lui dedicato possa essere "difficile", vi sbagliate. "The Last Station" parla sì degli ultimi giorni di vita di Tolstoj, ma è una pellicola incentrata sull'amore, sulla sua resistenza, sulla forza che lega due persone per tutta la vita sovrastando qualsiasi filosofia, qualsiasi litigio. Lo può vedere chiunque provando le stesse, intense, emozioni di chiunque altro. Tolstoj è il tramite, non lo scopo.

The Last Station Paul Giamatti e James McAvoy

Tratto dall'omonimo libro dell'americano Jay Parini, "The Last Station" ripercorre la storia del difficile rapporto tra Tolstoj e sua moglie quando lo scrittore cominciò a pensare seriamente, con tanto di nuovo testamento, di lasciare i diritti dei propri scritti all'umanità. Una scelta che rendeva inquieta la consorte. Siamo agli sgoccioli dell'era dell'aristocrazia russa, quelle entrate sarebbero fondamentali per gli otto figli della coppia. Al di là dell'oggetto della contesa (l'eredità), il conflitto è fondato sulle due diverse visioni del mondo assunte dai due: Lev Tolstoj sta sposando sempre più l'idea di una società in cui non esiste la proprietà privata mentre la moglie continua ad essere ancorata alle tradizionali dinamiche di classe dell'epoca. Nonostante questo i due si amano intensamente: hanno condiviso una vita, non c'è litigio che possa interrompere il dialogo tra le loro anime. Parallelamente al loro continuo allontanarsi e riprendersi, nel film assistiamo alla storia dell'assistente Bulgakov innamorato di una ragazza della casa. Non c'è insegnamento o fede che tenga davanti alla passione: è questo il motore dell'universo e di qualsiasi altra idea che possa ambire ad unire e rendere felici gli individui. Tolstoj per primo ne è consapevole: è il primo a non rispettare mai fino in fondo quanto predica.

The Last Station Helen Mirren

Probabilmente "The Last Station" non sarebbe il bel film che è se non fosse stato per i suoi interpreti. Non c'è aggettivo giusto per descrivere Helen Mirren, con un superlativo rischieremmo di banalizzarne i meriti, basti dire che senza di lei non ci sarebbe stato film. Meno appariscenti nell'intensità, ma quasi altrettanto eccezionali sono Cristopher Plummer, James McAvoy e Paul Giamatti. La bravura del regista Michael Hoffman è tanto nella direzione e nella scelta del suo cast, quanto nel rendere fluido e sempre credibile un racconto composto da tanti piccoli elementi, privo di veri e propri snodi narrativi (e per questo forse taluni potrebbero trovarlo lento), ma allo stesso tempo ricco di sfumature, di punti sospesi, di equilibri in continuo divenire e per questo avvincenti. Farlo con gusto, senza drammatizzare eccessivamente, ma neanche banalizzare, non è poco.