

The Killer Inside Me

Lou Ford è il vice sceriffo di una piccola cittadina del Texas. E' un pilastro della comunità, paziente e apparentemente pensieroso. Alcune persone pensano che sia un po' lento e forse noioso, ma questa è la cosa peggiore che dicono di lui. Nessuno conosce ancora quella che Lou chiama la sua "malattia", che è stata in letargo per anni e che ora però è in procinto di risalire in superficie con conseguenze brutali e devastanti...

di Andrea D'Addio
Micheal Winterbottom
è un regista piuttosto interessante per la varietà dei progetti a cui
ha preso parte. Fin dai suoi esordi, il suo impegno politico lo ha
portato a scegliere storie piuttosto impegnate e, soprattutto negli
ultimi anni, a vestire direttamente i panni del documentarista.
Da "Road to Guantanamo" a "The Schock Doctrine", da "Benvenuti a Sarajevo" a "A Mighty Heart", le sue pellicole dimostrano un'autorialità non tanto nella forma, quanto nei contenuti. Persino il fantascientifico "Codice 46" trattava in chiave futuristica temi di etica e potere della globalizzazione.
Con "Genova" prima e "The killer inside me", Winterbottom sembra
volersi affrancare da questo passato e buttarsi su film dalle storie
senza tempo. Se il film con Colin Firth ambientato nell'eponimo
capoluogo ligure è stato una delusione, altrettanto si può dire di "The killer inside me".
Facendo malcelato richiamo alle atmosfere di David Lynch,
con tanto di titoli iniziali totalmente fuorvianti per stile rispetto
alla vicenda che poi si inizia a raccontare, assistiamo alla storia di
un poliziotto della provincia americana totalmente fuori di testa.
Protagonista è un Casey Affleck dallo
sguardo sempre spento, obbligato da esigenze di sceneggiatura (scritta
da John Curran da un libro di Jim Thompson) a picchiare a sangue e
senza ragione le donne della sua vita. Ecco quindi gli occhi prima neri
e poi senza vita di Jessica Alba e Kate Hudson: lividi, sangue, grida di dolore, rumori di ossa e crani fracassati dall'ira di un uomo che ha perso il contatto con la realtà.
Il risultato è pessimo, da pomodori sullo schermo: Winterbottom pensa
di essere coraggioso, forse anche fico, nell'insistere sull'agonia
delle vittime, fa vedere tutto allo scopo esplicito disgustare.
Potrebbe anche essere una scelta ragionata se ne emergesse una
riflessione sul senso estetico del rapporto tra sangue e cinema (un
ragionamento simile, ma al contrario, di "The Million Dollar Hotel"),
ma nulla di questo succede. Dietro le immagini c'è il nulla, almeno è
questo ciò si percepisce (che poi le intenzioni siano altre è
probabile, ma non è un nostro problema). La forma è sempre dozzinale,
le conclusioni di sceneggiatura altrettanto risibili. Cast e soldi
sprecati. A Berlino, dove il film è stato presentato, i buu e i fischi
sono stati lunghi e convinti. Ne capiamo e condividiamo le ragioni.