

Silent Hill: Revelation 3D

La storia di Heather Mason, un'adolescente che alla vigilia del suo diciottesimo compleanno inizia ad essere tormentata da incubi spaventosi che sono direttamente collegati alla misteriosa scomparsa di suo padre e alla cittadina di Silent Hill.

Mettiamo subito le cose in chiaro rompendo la barriera della terza persona: non ho visto il primo Silent Hill.
Ne parlano come di uno dei pochi esempi riusciti di film tratto da un
videogame. Mi fido. Forse però, nonostante la mia lacuna, ero la persona
più adatta per vedere questo film, dato che il pressbook strillava
“Comprensibile anche da chi non ha visto il primo”. Che poi è una
qualità su cui gli Studios contano un sacco per attirare in sala
pubblico nuovo.
Dopo un'ora e quaranta di fughe, inseguimenti in corridoi bui, catene e
mostri dal design più bizzarro possibile – tanto esagerato nella ricerca
del cool da lasciare infine indifferenti – posso dire che no, il film non è assolutamente comprensibile a chi non ha visto il primo capitolo e a chi non ha per lo meno un'infarinatura del videogioco. Non avendo
nemmeno questa, ahimé, ho seguito con fatica quello che si dipanava
sullo schermo davanti a me.
Sequel diretto del primo episodio, Silent Hill: Revelation 3D riprende qualche anno dopo la storia di Harry/Christopher (Sean Bean) e di sua figlia Heather/Sharon (Adelaide Clemens).
Da tempo i due sono in fuga dalle autorità, ma qualcosa sta attirando
Heather a Silent Hill. Quando Christopher viene rapito dalla misteriosa
setta che domina la cittadina, Heather corre in suo aiuto insieme a
Vincent (Kit Harington de Il trono di spade).
Il problema principale del film è che vuole vincere facile:
la premessa è che c'è una città maledetta in cui può succedere
qualsiasi cosa, e si possono incontrare tutti i mostri più pazzerelli.
Grazie tante, così sono buoni tutti.
Scrive e dirige Michael J. Bassett, autore di Solomon Kane che ha preso le redini della serie dopo Christophe Gans. Era meglio
affidare la sceneggiatura a qualcun altro e forse anche la regia, perché
i personaggi sono fiacchi e poco interessanti e la messa in scena pare
rubata a un video di Marilyn Manson fuori tempo massimo. Dritto nel
dimenticatoio.
Di Marco Triolo