S Is for Stanley
S Is For Stanley è la storia di Emilio D’Alessandro, autista personale di Stanley Kubrick. D’Alessandro conobbe fortuitamente Kubrick a Londra nel 1971, che lo volle come suo autista e con cui instaurò un legame di amicizia profondissimo coronato nel 1999 con una serie di omaggi che il cineasta gli fece nel suo ultimo film, Eyes Wide Shut: lo fece recitare in un cameo, diede il suo nome al bar in cui va Tom Cruise, ‘assunse’ la moglie e la figlia Marisa come comparse. Un’amicizia che ha attraversato trent’anni di vita, costruito meticolosamente quattro capolavori della storia del cinema e unito due persone, apparentemente opposte che hanno trovato lontano da casa il proprio compagno di viaggio ideale.
VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
S Is for Stanley
GENERE
NAZIONE
Italia
REGIA
CAST
DURATA
58 min.
USCITA CINEMA
30/05/2016
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2016
di Alessia Laudati
Ascoltare i racconti di Emilio D’Alessandro, è come sfogliare un album privato e intimo appartenuto al grande regista Stanley Kubrick. Ma con un valore in più. Ché le impressioni che vi si scorgono all’interno sono quanto di più inedito si possa raccontare oggi sulla vita del grande regista americano. L’autista, ma la definizione è riduttiva, oggi settantaquattrenne, di origini italiane, che per trent’anni fu factotum del grande regista e suo amico affezionato, parla a Roma del rapporto tutto speciale che aveva con Kubrick. Un’amicizia tenera che il bel lavoro S is for Stanley di Alex Infascelli mostra per la prima volta al pubblico capitolino. D’Alessandro, intervistato nella Capitale da una platea di giornalisti, ha d’altronde solo parole buone, insieme a uno sguardo particolarmente malinconico quando parla del suo datore di lavoro più presente, che era solito chiamarlo a qualunque ora del giorno e ad affidargli i compiti più disparati: “Stanley era un uomo molto gentile e molto generoso. Questo documentario mi ha fatto realizzare che era effettivamente scomparso. Perché per molto tempo non ci ho mai voluto credere”.
Esordisce così l’autista originario di Cassino, emigrato a Londra giovanissimo e, per una totale coincidenza, catapultato a consegnare a Kubrick una gigantesca scultura fallica in una delle notti più nevose dell’inverno britannico. Ed è soprattutto il racconto aneddotico e privato, sia di alcuni aspetti della vita di Kubrick, sia del tenero rapporto di amicizia tra due uomini che impararono a fidarsi l’uno dell’altro con molto slancio, a emergere da questo lavoro. Un affetto, del resto, che diventerà sempre più solido. Tanto che D’Alessandro, arriva al punto di trascurare famiglia e figli pur di adempiere ai numerosi compiti affidatogli dal regista, mentre Kubrick coinvolge il suo assistente personale in maniera così completa all’interno della propria vita da delegargli continuamente l’esecuzione di lavori piccoli quanto fondamentali. E in questo rapporto tanto spazio ha la scrittura, ma sarebbe meglio parlare di una sorta di grafomania, perché il mezzo scelto da Kubrick per comunicare al suo uomo, è una pioggia di biglietti su carta firmati con una semplice S.
Per Infascelli invece, l’esigenza di raccontare il Kubrick meno noto è nata così: “Kubrick era l’alieno, una personalità particolare, quasi più un interprete perché era in grado di fare qualunque cosa, ma di farlo in maniera univoca e a modo suo. Per me è stato il più grande cineasta di genere di sempre”. Molti gli aneddoti del film. Da quelli che mostrano la passione di Kubrick per gli animali, a quelli che raccontano l’ossessiva mania del regista per lunghi post-it nei quali esplicitava con fermezza i minimali compiti da portare a termine, alla narrazione di una delle tante personalità incontrate da D’Alessandro durante il lavoro sul set. Tra questi, Jack Nicholson ebbe qualche attrito con D’Alessandro, tanto che l’autista stesso comunicò al regista l’esigenza di non accompagnarlo più in macchina durante gli spostamenti. Nicholson era colpevole, secondo D’Alessandro, di sniffare continuamente sostanze e di un comportamento disordinato e promiscuo nei confronti delle donne. “Quando Stanley mi chiese cosa ne pensassi di Nicholson, gli dissi che avrei preferito Charles Bronson per Shining. Ma lui e Stanley andavano molto d’accordo. E si scusò con me quando gli dissi che non volevo averci nulla a che fare”. D’Alessandro è accanto a Kubrick durante tutta la lavorazione dei suoi film, a partire da Barry Lyndon, ma è in Eyes Wide Shut che entra in campo come vera e propria comparsa, mentre vende un giornale a Tom Cruise.
Quasi un omaggio in realtà, che il regista regalò all'amico che solo poco tempo prima era ritornato a Londra dal pensionamento volontario a Cassino, pur di continuare a servire l’amico. E, in effetti, c’è qualcosa di questa amicizia profonda, che profuma di antico. Nei modi quasi cavallereschi che legano le due personalità, unite da una fiducia e da un affetto veramente di altri tempi, nella longevità, in un mondo che, almeno al di fuori, appare come un vorticoso susseguirsi di alti e bassi. Eppure il momento più divertente dell’incontro lo riserva la moglie di D’Alessandro, Janet Woolmore, che per anni fu costretta a negoziare la presenza del marito con il grande regista. “Io e Stanley avevamo un accordo. Quando gli dicevo no, significa che avevo bisogno di mio marito accanto a me in maniera definitiva. E lui capiva”. Capiva, ma non poteva rinunciare a uno dei suoi pochi amici. Tanto che, mentre D’Alessandro è in Italia, Kubrick sta per girare Eyes Wide Shut e gli chiede di tornare per la lavorazione del film, che altrimenti non avrebbe, in sua assenza, portato avanti. E D’Alessandro, ancora una volta, risponde alla chiamata del genio cinematografico, che per lui – vedrà per la prima volta i suoi film dopo la morte nel 1999 - sarà per sempre solo il suo più caro amico.
Ascoltare i racconti di Emilio D’Alessandro, è come sfogliare un album privato e intimo appartenuto al grande regista Stanley Kubrick. Ma con un valore in più. Ché le impressioni che vi si scorgono all’interno sono quanto di più inedito si possa raccontare oggi sulla vita del grande regista americano. L’autista, ma la definizione è riduttiva, oggi settantaquattrenne, di origini italiane, che per trent’anni fu factotum del grande regista e suo amico affezionato, parla a Roma del rapporto tutto speciale che aveva con Kubrick. Un’amicizia tenera che il bel lavoro S is for Stanley di Alex Infascelli mostra per la prima volta al pubblico capitolino. D’Alessandro, intervistato nella Capitale da una platea di giornalisti, ha d’altronde solo parole buone, insieme a uno sguardo particolarmente malinconico quando parla del suo datore di lavoro più presente, che era solito chiamarlo a qualunque ora del giorno e ad affidargli i compiti più disparati: “Stanley era un uomo molto gentile e molto generoso. Questo documentario mi ha fatto realizzare che era effettivamente scomparso. Perché per molto tempo non ci ho mai voluto credere”.
Esordisce così l’autista originario di Cassino, emigrato a Londra giovanissimo e, per una totale coincidenza, catapultato a consegnare a Kubrick una gigantesca scultura fallica in una delle notti più nevose dell’inverno britannico. Ed è soprattutto il racconto aneddotico e privato, sia di alcuni aspetti della vita di Kubrick, sia del tenero rapporto di amicizia tra due uomini che impararono a fidarsi l’uno dell’altro con molto slancio, a emergere da questo lavoro. Un affetto, del resto, che diventerà sempre più solido. Tanto che D’Alessandro, arriva al punto di trascurare famiglia e figli pur di adempiere ai numerosi compiti affidatogli dal regista, mentre Kubrick coinvolge il suo assistente personale in maniera così completa all’interno della propria vita da delegargli continuamente l’esecuzione di lavori piccoli quanto fondamentali. E in questo rapporto tanto spazio ha la scrittura, ma sarebbe meglio parlare di una sorta di grafomania, perché il mezzo scelto da Kubrick per comunicare al suo uomo, è una pioggia di biglietti su carta firmati con una semplice S.
Per Infascelli invece, l’esigenza di raccontare il Kubrick meno noto è nata così: “Kubrick era l’alieno, una personalità particolare, quasi più un interprete perché era in grado di fare qualunque cosa, ma di farlo in maniera univoca e a modo suo. Per me è stato il più grande cineasta di genere di sempre”. Molti gli aneddoti del film. Da quelli che mostrano la passione di Kubrick per gli animali, a quelli che raccontano l’ossessiva mania del regista per lunghi post-it nei quali esplicitava con fermezza i minimali compiti da portare a termine, alla narrazione di una delle tante personalità incontrate da D’Alessandro durante il lavoro sul set. Tra questi, Jack Nicholson ebbe qualche attrito con D’Alessandro, tanto che l’autista stesso comunicò al regista l’esigenza di non accompagnarlo più in macchina durante gli spostamenti. Nicholson era colpevole, secondo D’Alessandro, di sniffare continuamente sostanze e di un comportamento disordinato e promiscuo nei confronti delle donne. “Quando Stanley mi chiese cosa ne pensassi di Nicholson, gli dissi che avrei preferito Charles Bronson per Shining. Ma lui e Stanley andavano molto d’accordo. E si scusò con me quando gli dissi che non volevo averci nulla a che fare”. D’Alessandro è accanto a Kubrick durante tutta la lavorazione dei suoi film, a partire da Barry Lyndon, ma è in Eyes Wide Shut che entra in campo come vera e propria comparsa, mentre vende un giornale a Tom Cruise.
Quasi un omaggio in realtà, che il regista regalò all'amico che solo poco tempo prima era ritornato a Londra dal pensionamento volontario a Cassino, pur di continuare a servire l’amico. E, in effetti, c’è qualcosa di questa amicizia profonda, che profuma di antico. Nei modi quasi cavallereschi che legano le due personalità, unite da una fiducia e da un affetto veramente di altri tempi, nella longevità, in un mondo che, almeno al di fuori, appare come un vorticoso susseguirsi di alti e bassi. Eppure il momento più divertente dell’incontro lo riserva la moglie di D’Alessandro, Janet Woolmore, che per anni fu costretta a negoziare la presenza del marito con il grande regista. “Io e Stanley avevamo un accordo. Quando gli dicevo no, significa che avevo bisogno di mio marito accanto a me in maniera definitiva. E lui capiva”. Capiva, ma non poteva rinunciare a uno dei suoi pochi amici. Tanto che, mentre D’Alessandro è in Italia, Kubrick sta per girare Eyes Wide Shut e gli chiede di tornare per la lavorazione del film, che altrimenti non avrebbe, in sua assenza, portato avanti. E D’Alessandro, ancora una volta, risponde alla chiamata del genio cinematografico, che per lui – vedrà per la prima volta i suoi film dopo la morte nel 1999 - sarà per sempre solo il suo più caro amico.