Qualcuno da amare
Storia d'amore surreale tra una studentessa giapponese, che si concede ad uomini facoltosi per pagarsi gli studi, e un vecchio professore che si prende cura di lei.
Abbas Kiarostami non lo scopriamo oggi, né il cinema iraniano dei vari Jafar Panahi, Rafi Pitts e Makhmalbaf, ma in questo caso colpisce l'intreccio di questa cinematografia con una ambientazione orientale – e giapponese – particolarmente significativa.
Dopo il dimenticabile Copia Conforme, il regista di Ten e Il sapore della ciliegia continua a parlare di amori in maniera molto personale. Stavolta attraverso la storia di Akiko,
giovane 'accompagnatrice' divisa tra una notte nella casa dell'anziano
professore che ne ha richiesto i servizi e il proprio fidanzato
all'oscuro di ogni cosa.
Tre soli personaggi, tre vite che si intrecciano per un breve momento,
orchestrati da una regia attenta e curata, forse a tratti fine a se
stessa, e una organizzazione che lascia molto nell'indefinito tanto le
premesse (comunque intuibili) quanto gli esiti (lasciati più alla
creatività dello spettatore). L'importante è il 'qui e ora', ma tanta
ellissi rischia di apparire un po' comoda per un regista capace di ben
altri approfondimenti. Di contro la scelta di una ambientazione
claustrofobica e della ripetizione di gesti e situazioni ipnotizza e
rende la prima porzione del film migliore della seguente, anche per la
suddetta mancanza (voluta?) di risoluzione.
Se vi mancavano le dilatazioni e le fissità tanto care al regista
iraniano, sarete sicuramente soddisfatti. Anche grazie a interpretazioni
ben calibrate e – soprattutto nei due principali – toccanti. Per il
resto tanta solitudine, bugie, vigliaccheria, sogno, confusione. Di
ruoli soprattutto, e aspettative. Un film triste e divertente insieme. Forse un film furbo, ma anche ricco di spazi vuoti nei quali far scivolare la propria sensibilità.
di Mattia Pasquini