Passion
L'assistente di una donna d'affari decide di eliminare la sua superiore dopo che questa le ha rubato un'idea.
Amicizia, attrazione, erotismo, voyeurismo, gelosia, sesso, omicidio in
un film girato al galoppo e scritto alla velocità della luce. Brian De Palma non fa centro, anzi sbaglia completamente bersaglio in questo detestabile adattamento dell'ottimo Crime d'Amour di Corneau. Il regista rivisita le sue ossessioni cinematografiche con poco impatto sia visivo che narrativo.
Forse non gli interessava nemmeno la sceneggiatura, piuttosto la
possibilità di declinare questo thriller pacchiano all'interno della
dimensione onirica che ama tanto. Dunque, arrivati al punto di rottura
della storia, De Palma ne stravolge l'epilogo stressando lo spettatore
con una mezza dozzina di inquadrature in cui la protagonista si sveglia
di soprassalto. Il filo narrativo va a farsi benedire scendendo più a
fondo nei vari livelli dei sogno, il che va anche bene; peccato, però,
che il regista si muova troppo velocemente tra le varie sequenze.
Perfino le due protagoniste sono mal dirette, svogliate e spaesate (soprattutto Noomi Rapace). E' in quel momento che il pensiero va al cinema più recente di Dario Argento, che cerca di tornare sempre ai suoi marchi di fabbrica dimostrandosi però svogliato e superficiale.
Dispiace calare l'ascia su un film del maestro, ma diciamo la verità:
fare un remake istantaneo (l'originale del 2010) alzando il volume del
thriller e puntando su una componente lesbo buttata in mezzo per fare
chiasso era una scommessa persa in partenza. Il film non trasuda mai erotismo o sensualità.
Non brilla nemmeno dal punto di vista tecnico: questa volta mancano i
bellissimi piani sequenza tanto cari al regista, gli split-screen,
invece, arrivano puntuali, lunghi e gratuiti. Per qualche secondo si
ritorna anche agli anni Ottanta con la soggettiva di un omicidio che
però viene tagliata nel suo culmine. L'elemento che dà più ai nervi è la
fotografia buia, d'un tratto il regista si affida solo a prospettive
oblique con personaggi illuminati (o per meglio dire, rabbuiati) solo da
una luce che passa attraverso serrande semi-abbassate.
Piuttosto che gridare “Bentornato!” è il caso di dire: “Provaci ancora Brian...”.
di Pierpaolo Festa