

Mio fratello e' figlio unico

Accio è la disperazione dei suoi genitori, scontroso e attaccabrighe, un istintivo ccol cuore in gola che vive ogni battaglia come una guerra. Suo fratello Manrico è bello, carismatico, amato da tutti ma altrettanto pericoloso.. Nella provincia italiana degli anni '60 e '70, i due fratelli corrono su opposti fronti politici, amano la stessa donna e attraversano una stagione fatta di fughe, di ritorni, di botte e di grandi passioni.

C'è un personaggio, Accio.
Quando lo incontriamo per la
prima volta è il 1962, a Latina. E' un adolescente che ha scelto il seminario,
ma lo abbandonerà ben presto perché non gli basta. Accio ha il fuoco dentro, ha
bisogno di agire per sentirsi vivo, anzi per sentirsi accettato. Il solo modo
che conosce per comunicare - e per amare - è lo scontro: lo capiamo soprattutto
dal rapporto con suo fratello Manrico, che per lui è insieme nemico e modello.
Accio sembra avercela con la sua famiglia, col mondo intero, e cerca
un'ideologia che possa adattarsi alla sua necessità di vivere. Allora diventa
fascista, poi comunista, ma lo stesso non gli basta. Lui vuole battersi per il
gruppo a cui sente di appartenere, e cioè quello degli ultimi…
C'è un attore, Elio Germano.
E' ancora giovane, perciò lo
guardi mentre scalpita, e già lo ammiri. La sua recitazione è fatta ancora principalmente d'istinto, e nei film
in cui trova un personaggio che gli si adatta sa trasmetterti la febbre che lo
prende. E' già abbastanza forte da riuscire a tenerti inchiodato davanti allo
schermo. Spesso gli basta uno sguardo, un cenno del capo, magari una sola
parola, e tu riesci ad intravedere tutto il mondo che sta dietro a quel
personaggio, e magari anche dietro all'attore.
C'è un regista, Daniele Luchetti.
In passato ci ha raccontato
l'Italia del presente – “Il portaborse” (id., 1990), “Arriva la bufera” (id.,
1992), “La scuola” (id., 1995) – attraverso l'occhio deformante della sferzata
ironica, a volte anche grottesca. Adesso ha scelto di raccontarci l'Italia del
passato in maniera lucida, precisa, quasi tagliente. Come riferimento specifico
ha scelto di stare dietro al suo personaggio, ed al suo attore: ecco quindi
molta macchina a mano che segue, anticipa, accompagna Accio/Elio e le persone
che lo circondano, primo tra tutti suo fratello. Difficile trovare una scelta
stilistica che meglio potesse adattarsi al testo, alla storia, alle persone che
il film racconta.
C'è un film, “Mio fratello è
figlio unico”.
Parla di una vicenda semplice
nella sua costruzione, ma molto complessa ed articolata nei sottotesti. E' un
film di personaggi soprattutto: più che sussurrarle sottovoce, ha il coraggio
di urlare le cose che ha da dire. Tra le sue scene scorre il sangue di chi
parla con sincerità, anche quando sbaglia a parlare. A tratti è un film quasi
rabbioso, che segue con coerenza il suo protagonista.
C'è un pubblico.
Che deve abituarsi a vedere
questo tipo di cinema italiano, che deve avere il coraggio di esigere storie
sempre più articolate, interessanti, corpose come questa. Un pubblico che deve
fare in modo che opere come “Mio fratello è figlio unico” diventino la routine,
il prodotto medio – nel senso assolutamente positivo del termine - della nostra
industria cinematografica. Una volta ottenuto questo, il resto probabilmente
arriverà da sé. O almeno così spera chi sta scrivendo.