Love and Mercy

Love and Mercy

Love and Mercy dipinge un ritratto non convenzionale di Brian Wilson, cantante, cantautore e leader dei Beach Boys. Con la sue canzoni a far da colonna sonora, il film esplora intimamente il travagliato percorso personale dell'artista che Paul McCartney ha definito un genio. Nascosta da un'apparente semplicità la sua musica ha segnato per sempre la storia del pop, mentre la sua mente è stata considerata per anni affetta da una forma di schizofrenia. L'incontro con la futura moglie Melinda riuscirà a portare l'equilibrio nella sua mente e nella sua vita.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Love & Mercy
GENERE
NAZIONE
Stati Uniti
REGIA
CAST
DURATA
120 min.
USCITA CINEMA
31/03/2016
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2016
di Mattia Pasquini

Troppo poco nominato, per l'importanza avuta nella storia della musica (non solo statunitense) in un momento di svolta della stessa, e colpevolmente misconosciuto dai più, il personaggio Brian Wilson meritava da tempo l'attenzione che in parte decide di riservargli il Love and Mercy di Bill Pohlad. Il produttore di Time Out of Mind, Wild, 12 anni schiavo e The Tree of Life torna alla regia dopo l'Old Explorers del 1990 per omaggiare il genio che rese celebri i Beach Boys, seppur con un film che ne affronta gli aspetti più problematici e che si affida alla forza - emozionale e coinvolgente - del soggetto. Più che a una scrittura capace di andare al di là di una rappresentazione piuttosto standardizzata, tanto della nascita del mito quanto della disperazione della sua solitudine.

Onore al merito - e al coraggio dimostrato - nella scelta di una struttura duplice e di una cronologia irregolare, spezzata da continui flashback e rimandi: elementi che ci consentono di godere dell'interpretazione congiunta di Paul Dano e John Cusack, rispettivamente nel ruolo di Wilson da giovane e ormai maturo, nel momento della sua liberazione dal dispotico amico-terapista-agente Eugene Landy (un intollerabile e fastidioso ottimo Paul Giamatti) ad opera della (poi) moglie Melinda Ledbetter (Elizabeth Banks). Il vai e vieni tra passato e futuro è comunque ben sincronizzato, pur con qualche didascalismo, soprattutto nelle giunture affidate alle musiche del gruppo.

"È come se ci fosse qualcun'altro dentro di me" è l'incipit che ci regala il film, che nel successivo "se lo perdessi e non tornasse più, che cosa farei?" denuncia la fondamentale paranoia descritta nelle due ore successive e la sindrome da abbandono del protagonista, che apre e chiude la sua (porzione di) parabola sdraiato sul letto in un furbesco ammiccamento al kubrickiano '2001'. Ma la rinascita questa volta è storia nota, e la sua energia non sarebbe molta - almeno sullo schermo - senza la 'traccia' che da Surfin' Usa, I get around, Fun fun fun ci accompagna alla definitiva Good Vibrations in un viaggio fin troppo eplicito.

Probabilmente questa la critica principale da muovere all'opera di Pohlad, animato da ottime intenzioni e spunti interessanti, ma fiaccato da strumenti limitati e scelte poco originali nelle coordinate affidate al pubblico. Minime spesso, o superficiali a volte, tanto nel racconto delle prime crisi del giovane Brian e la sua graduale fuga dal mondo circostante, quanto in quello delle crescenti crepe e del bisogno di aiuto del Wilson adulto e ormai deluso. Commovente ed emozionante il Dano creatore di God Only Knows o Wouldn't it be Good, si sente la mancanza della sua 'presenza', come di certa sostanza in quelle con Cusack. Sarà anche per l'indubbia aura della fase che interpreta, ma senza dubbio è il più giovane dei due a tenere meglio la scena, lasciando al film delle pause alle quali non sembra trovarsi soluzione.

A rimediare, una serie di parentesi. Come quella della scoperta dell'LSD - contrappuntata dal "I feel so broken, i wanna go home" di Sloop John B (a conferma del didascalismo accennato) - chiusa dal Brian/Cusack sempre più esplicito nel mostrare odio per il proprio passato. Ma in tanta distonia, non a caso estremizzata ed evidenziata dal regista anche con effetti poco digeribili, sta anche un'arma del biopic, che in fondo riesce a dare la perfetta misura di quel disagio e quella difficoltà di comunicazione. Cause ed effetti di un cambio di epoca e mentalità, tradotto dal difficile filtro di un soggetto non allineato con i suoi tempi, e forse nemmeno con i nostri, che rischia di finire beatificato solo post mortem.