La versione di Barney

La versione di Barney - Locandina

Approdato a una rissosa vecchiaia, Barney Panofsky impugna la penna per difendersi dall'accusa di omicidio e da altre calunnie non meno incresciose, diffuse dal suo arcinemico Terry McIver. Così, fra quattro dita di whisky e una boccata di Montecristo, Barney ripercorre l'esistenza allegramente dissipata e profondamente scorretta che dal quartiere ebraico di Montreal lo ha portato nella Parigi dei primi anni Cinquanta e poi di nuovo in Canada, a trasformare le idee rastrellate nella giovinezza in "sitcom" decisamente popolari e altrettanto redditizie.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Barney's Version
GENERE
NAZIONE
Canada
CAST
DISTRIBUZIONE
Fandango
DURATA
132 min.
USCITA CINEMA
14/01/2011
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2011

Il Barney Panofsky amato dai lettori era un tipaccio dalla lingua affilatissima, un torrente in piena di scorrettezze, un eversivo, un eccentrico, uno sfacciato, un randagio. Il suo pensiero sciagurato e arrogante, il suo dolersi di tanto genio sprecato in porcherie televisive di bassa lega, le sue ossessioni persecutorie, le sue sparate iraconde, la sua febbrile corsa verso l'amore irretivano e trascinavano dove non si ha il coraggio di avventurarsi da soli, dove si ride fino alle lacrime, ci si addolora fino a piegarsi, ci si ubriaca di vita.

Quel Barney se n'è andato insieme a Mordecai Richler qualche anno fa, ma l'idea di farlo rivivere sul grande schermo non è mai stata sepolta e per dieci anni è stata inseguita con testardaggine. L'ostacolo più evidente veniva proprio dal testo, dalla logorrea anarchica e disordinata del suo protagonista, dalla difficoltà di tradurre quella foga in un film che non tradisse la potenza della follia. Lo stesso Richler aveva aperto le danze finché la malattia non lo ha fermato, dopo di lui altri tre sceneggiatori si sono avventurati nelle ortiche: eppure niente. Infine è arrivato Michael Konyves e ha riordinato le cose sintetizzandole in un registro che filtra gli abomini di Barney, smorza gli sproloqui e si concentra sulla sua anima canaglia per amore, rispettando l'organizzazione del racconto nella linea dei tre matrimoni di Barney, e scansando il confronto diretto con il Super-Io che dominava la pagina scritta attraverso l'elegante rinuncia alla voce fuori campo. Il motore sullo schermo volge al sentimentale, che era infondo anche l'essenza di Barney se non l'avesse lordata di smargiassate. La sceneggiatura trova così equilibrio in una versione soft della “Versione” e sfugge al ritmo sincopato e svagato dell'originale per rifugiarsi in una scorrevolezza limpida e inquadrata in ottimi dialoghi, e sostenuta da un cast che punta soprattutto su due cavalli di razza come Paul Giamatti, che meriterebbe di essere considerato per la Coppa Volpi, e Dustin Hoffman nei panni bellissimi del padre.

La parte che nel libro era ambientata a Parigi si sposta a Roma e questo è il passo più falso dell'intera operazione perché purtroppo la visione che gli americani hanno dell'Italia si annacqua sempre in luci eternamente calde e folklori da cartolina.

Nel complesso comunque il film riesce a stupire, divertire e immalinconire e si qualifica come un prodotto ben riuscito e perfettamente interpretato. Quel vecchio alcolizzato e sputasentenze di Barney però viene messo decisamente al guinzaglio.