La madre
Cinque anni fa, le sorelle Victoria e Lilly scomparvero dal quartiere in cui abitavano, senza lasciare traccia. Da allora lo zio Lucas e la sua fidanzata Annabel non hanno fatto altro che cercarle. Ma quando le ragazze vengono incredibilmente ritrovate vive in un rifugio fatiscente, la coppia inizia a chiedersi se le ragazze siano gli unici ospiti ad essere stati accolti nella loro casa. Mentre Annabel cerca di ricreare una vita normale per le due sorelle, cresce la sua convinzione che in casa aleggia una presenza maligna. Le sorelle presentano semplicemente i sintomi di un trauma o c'è veramente un fantasma che si aggira intorno a loro? E come hanno fatto a sopravvivere tutti questi anni da sole? Mentre la donna cerca risposte a queste domande spaventose, si renderà conto che i sussurri che echeggiano in casa quando le ragazze vanno a letto, provengono dalle labbra di una presenza letale.
Il volume si alza improvvisamente anticipando di qualche secondo una
pioggia di effetti speciali digitali. Entra in scena "la madre", uno
spettro che ha adottato due bambine scomparse nei boschi e riemerse dopo
cinque anni. E' meglio non creare problemi alle piccole o altrimenti la
loro nuova madre perderà la pazienza. Così come non è consigliabile
volere troppo bene alle due sorelline, perché la madre è un tipo molto
geloso.
Puntando a un certo romanticismo della paura, La madre – presentato in anteprima al Bif&st – si rivela il
solito polpettone pseudo horror a metà strada tra i film asiatici
(Ringu e tutti i suoi remake) e le produzioni latine della scuderia di
Guillermo del Toro (produttore esecutivo). In altre parole gli
spettri in scena vogliono vendicarsi per i soprusi subiti nella loro
vita terrena. Si tende dunque a “umanizzare” la figura del baubau con
sequenze troppo dilatate e romanzate al fine di creare un'empatia nei
confronti della “madre”. Manca il sangue: sono pochi i
malcapitati di turno e chi ci lascia le penne tende a farlo fuori campo.
Anche il lavoro sulle atmosfere è riuscito a metà: se, infatti, è
interessante seguire il cambiamento delle due bambine cresciute nei
boschi e diventate selvagge, ad annacquare la paura ci sono i soliti
colpi di scena a entrata improvvisa e uno stile visivo “pseudo sporco”. Il film, infatti, dovrebbe grondare di sangue e fango, ma l'uso del digitale non aiuta. E' così che a poco a poco anche la sceneggiatura comincia ad affondare, fino ad arrivare a soluzioni bizzarre nel finale.
Si salvano solo un paio di visioni avute dai protagonisti (anche esse interamente realizzate la computer grafica) e la prova di Jessica Chastain, l'unica ragione per ricordarsi di questo film.
L'ex musa di Malick rinuncia alla sua lunga chioma rossa per
trasformarsi in una bassista punk alle prese con la maternità. E' lei,
infatti, l'eroina che si fa carico di adottare controvoglia le due
bambine. Il look inedito dell'attrice convince sin dalla sua entrata in
scena dove si ammirano anche i tatuaggi che ha lungo le braccia. La
Chastain, che fino a un anno e mezzo fa era una completa sconosciuta,
sceglie l'horror come prova di versatilità e, sebbene non aiutata dalle
battute in sceneggiatura, rimane comunque una forte presenza all'interno
del film. E' un piacere ritrovarla in queste vesti insolite.
di Pierpaolo Festa