

La congiura della pietra nera

428 a.C. Bodhi, un principe del sud dell'India è diventato un monaco buddista ed è partito per la Cina, guadagnandosi la sacra reputazione di mistico artista delle arti marziali.. Dopo la sua morte i suoi resti sono misteriosamente scomparsi. Centinaia di anni dopo, Zhang, un alto ufficiale della corte viene assassinato da Drizzle. Il figlio di Zhan, Jingxiu, mentre è in lutto per la morte del padre, viene assalito da un gruppo di assassini che lo credono morto, ma il giovane sopravvive in qualche modo e scappa dalla loro stretta. Drizzle, è una guerriera di talento che si trova in possesso dei resti di Bodhi e comincia il suo viaggio per riportarli al loro giusto luogo di riposo al tempio di Yunhe.

Qual è il tratto più caratteristico del cinema di John Woo?
I più vi risponderebbero la capacità di rendere ogni scena d'azione,
per quanto affollata, lucida e comprensibile in ogni inquadratura, in
ogni fotogramma. Una capacità che esplode sullo schermo nel suo ultimo
capolavoro, “La battaglia dei tre regni”, e che invece pare totalmente assente nel qui presente “Reign of Assassins”, presentato a Venezia proprio nel giorno della premiazione di Woo, che riceverà oggi pomeriggio il Leone d'Oro alla carriera.
In “Reign of Assassins” manca proprio quella lucidità: là
centinaia di persone si affrontavano sul campo di battaglia in complesse
coreografie servite con una grazia estranea al cinema americano, dove a
farla da padrone c'è uno stile documentaristico fatto di primi piani e
camera a mano. Qui pare che si sia cercato proprio di emulare in parte
quello stile più moderno, cool, dimenticando che in questo
campo la Cina ha avuto e avrà sempre da insegnare agli USA. Che cosa è
successo, dunque? Semplicemente che, come confermato in conferenza
stampa, “Reign of Assassins” e principalmente opera di Su Chao-Pin, a cui Woo ha offerto la sua guida in un ruolo di co-regista e sostanzialmente supervisore. Su esagera con il wire work, le coreografie aiutate dai cavi, ottenendo a volte effetti buffi, ma in generale già visti e stra-visti nei vari “Hero”, “La foresta dei pugnali volanti” e “La tigre e il dragone”.
La messa in scena mostra almeno una certa leggerezza di tocco, con
spunti umoristici che a volte sono azzeccati, a volte cadono un po'
fuori tempo. Inoltre Michelle Yeoh è, come sempre, una grande protagonista. Ma i colpi di scena finali
sono un po' attaccati con la colla e la ricerca di un senso più profondo
e lirico stona un po' col resto del film. Un vero peccato, visto che
con questo film Woo si presenta a Venezia a ritirare un premio più che
meritato. Se siete dei veri fan del regista, riguardatevi “La battaglia dei tre regni” e “The Killer”, e aspettate il suo prossimo “Flying Tigers”: non avrete rimpianti.