Krisha

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Krisha ritorna dalla sua famiglia dopo dieci anni di assenza, in occasione della cena per il giorno del Ringraziamento. La loro riunione viene seriamente ostacolata dai demoni del passato...  

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Krisha
GENERE
NAZIONE
Stati Uniti
REGIA
CAST
DURATA
83 min.
USCITA CINEMA
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2015
di Marco Triolo (Nexta)

Il vero significato della parola “indie”. Spesso, il cinema indipendente americano è ormai sinonimo di storie leggere raccontate con stili peculiari o una scrittura brillante, oppure di film verità dal linguaggio crudo ma in fondo ancorati, consapevolmente o meno, ai modelli hollywoodiani. Dunque archi narrativi di redenzione e tutto il pacchetto. Tutto ciò è completamente assente in Krisha, dramma diretto, scritto e interpretato da Trey Edward Shults al suo debutto nel lungometraggio (il film è tratto da un suo stesso corto). Krisha è il nome della protagonista, di cui Shults interpreta il figlio abbandonato Trey). È interpretata da Krisha Fairchild e sì, quasi tutti i personaggi mantengono il nome degli attori che li interpretano.

La storia vede Krisha, una donna sessantenne con grossi problemi psichici ed emotivi, tornare a casa della sorella per festeggiare il Giorno del Ringraziamento. Lì trova una galleria di parenti che vede saltuariamente e soprattutto il già citato figlio che, molti anni prima, aveva lasciato alla sorella per scappare dalla vita di madre. Un bel quadretto che, in qualunque altro film americano mainstream, sarebbe stato trattato con il solito canovaccio di caduta e risalita, e un misto di dramma e buoni sentimenti per chiudere tutto in bellezza e assicurarsi di accontentare il pubblico generalista e non toccare uno dei capisaldi della cultura americana, vale a dire la famiglia.

Per fortuna che Krisha non è un qualunque altro film americano mainstream, è un vero indie come si dovrebbe sempre intendere. È un film scagliato ai cento all'ora contro ogni possibile cliché, intento a una disamina spietata di una famiglia disfunzionale e della sua protagonista, una depressa autolesionista innamorata della bottiglia e incapace di rimettere in sesto la propria vita. Ma non appena si insinua il dubbio che Shults voglia, troppo comodamente, puntare il dito sulla pecora nera, ecco che il punto di vista si ribalta: non è solo colpa di Krisha, ma di una famiglia che non le ha mai dato ascolto quando chiedeva aiuto, prigioniera del proprio perbenismo e troppo intenta a guardarla dall'alto in basso e scuotere la testa con aria di disapprovazione. Non c'è uno dei personaggi che si salvi, ma nessuno che sia negativo in maniera caricaturale: è semplicemente tutto reale, quella che vediamo è una vera famiglia, i dialoghi sono scritti e recitati con estrema naturalezza.

Geniale, da questo punto di vista, l'idea di filmare tutto come fosse un thriller d'atmosfera, una sorta di horror psichiatrico che mescola una colonna sonora martellante e un montaggio rapido per infondere allo spettatore una sensazione di malessere e vertigine, di disagio fortissimo ancora prima che i problemi dietro questa riunione di famiglia vengano svelati. Il finale è un pugno nello stomaco secco, senza alcuna possibile redenzione o soluzione facile di problemi repressi per troppo tempo. Come nella vita vera, non c'è nessun abbraccio collettivo intorno al tacchino farcito: solo rimorsi e il senso inesorabile del tempo che passa senza che si riesca a combinare nulla di buono.