Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni
Le vicende di due coppie sposate - nella fattispecie quella formata da Alfie (Anthony Hopkins) e Helena (Gemma Jones), e quella della figlia Sally (Naomi Watts) e di suo marito Roy (Josh Brolin), mentre passioni, ambizioni e ansie causano un crescendo di guai e follie. Dopo essere stata lasciata da Alfie – che se ne è andato per inseguire la perduta giovinezza e una ragazza di nome Charmaine (Lucy Punch) - Helena mette da parte la razionalità e si affida ciecamente ai bislacchi consigli di una cartomante ciarlatana. Dal canto suo Sally, intrappolata in un matrimonio infelice, si prende una cotta per l'affascinate proprietario della galleria d'arte - nonché suo capo - Greg (Antonio Banderas), mentre suo marito Roy, uno scrittore che attende con ansia una risposta dalla sua casa editrice, resta folgorato da Dia (Freida Pinto), una donna misteriosa che cattura il suo sguardo da una finestra vicina. Nonostante i tentativi fatti dai protagonisti per eludere i rispettivi problemi attraverso sogni ad occhi aperti e piani impossibili, i loro sforzi produrranno solo crepacuore e irrazionalità.
Woody Allen (leggete qui il nostro incontro col regista)
potrebbe anche raccontarci per novanta minuti una fila al supermercato e
comunque troveremmo la sua narrazione gradevole. Il suo modo di
approcciarsi alla vita, la sua descrizione sempre leggera anche quando
va in profondità, il suo modo spesso distante, forse cinico, con cui
vede quelle che in molti considerano le grandi scelte che uno si trova a
dover affrontare, matrimonio, tradimento, licenziamento, figli (forse
si salva solo l'omicidio, ma dipende dai casi), è sinonimo di
scorrevolezza. Tutto accade velocemente, non si rimarca, si lascia
sempre e solo l'essenziale. E il tempo scorre, l'orologio non si guarda.
Parliamo di un uomo che ha il tocco magico, anche il suo peggiore film è
meglio di buona parte della concorrenza. Perché questa premessa? La
ragione è che “Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni” è probabilmente il suo lavoro meno riuscito da “Melinda & Melinda”. Si guarda, ma tutto sembra già visto e sentito altrove, oltretutto in maniera migliore.
Londra, persone normali, legami familiari che rendono ogni personaggio
dipendente, in qualche modo, all'altro. Al centro c'è una coppia di
quarantenni in crisi (ad ognuno di loro piace un'altra persona) con
tanto di genitori di lei appena divorziati e già con un nuovo amore. E'
su questo impianto che giocano i visi di Naomi Watts, Josh Brolin, Anthony Hopkins e Gemma Jones da una parte, e i loro possibili-reali amanti, Antonio Banderas, Freida Pinto, Lucy Punch e Roger Ashton-Griffith. L'amore passa, non è eterno e non è una colpa rendersene conto. Lo avevamo già sentito nel divertente “Basta che funzioni”,
lo risentiamo ora qui in maniera più seria, ma comunque non drammatica,
quasi con distacco, come se neanche valesse la pena dirlo ancora. La
stessa voce narrante fuori campo ci anticipa fin dall'inizio che
assisteremo ad una storia senza troppo significato, fatta di rumore e
poco altro, di cui “non rimane nulla” si dice citando Shakespeare.
Ecco allora che per dare almeno un minimo di interesse alla vicenda, un
poco di collante che renda le storie unite, ritroviamo il misticismo de “La maledizione dello scorpione di giada”, la crisi creativa dell'artista di “Hollywood Ending” (seppur qui parliamo di uno scrittore), l'amore tra due persone totalmente distanti per età (come "Basta che funzioni")
e questo solo per citare solo gli ultimi lavori e i richiami più
espliciti. Insomma, Woody non entusiasma come al solito, nonostante
tutti i suoi attori siano a loro modo amabili e alcune scene valgano da
sole la visione del film.
Dai due dialoghi tra Banderas e Naomi Watts (in macchina e poi sul divano, con lui che prende tempo sviando le risposte) al Josh Brolin che
cambia “la finestra di fronte” avendo un lampo di rimorso di
straordinaria intensità, passando per l'idea di non far vedere lo
splendido viso di Freida Pinto, la ragazza che suona la chitarra, ma di
tenerla sfocata fino a che non esce di casa. E' per certi versi anche
apprezzabile la scelta di Allen di non chiudere nessuna delle trame
lasciate aperte, proprio come accade in “A serious Man” dei fratelli Coen,
ma il modo con cui lo fa, senza accumulo di tensione, ma quasi volendo
tagliare corto, come fosse finito lo spazio sulla pellicola, rende il
tutto un po' antipatico. Per fortuna Allen fa un film l'anno e avremo
presto modo di celebrare il suo ritorno.