Himizu
Ogni giorno in Giappone 2.500 persone muoiono per svariati motivi. Tu credi sarai uno dei prossimi a morire? Certamente no. Credi che vincerai la lotteria? Lo speri, come tutti. Ma Sumida ? differente. Egli vuole lo status quo in ogni caso: vivere una vita normale, con un lavoro normale, dei figli normali, non essere n? fortunato n? sfortunato. Quando sua madre manda fuori di casa il padre a vivere nelle strade, Sumida pensa che andr? tutto bene. Quando sua madre lo abbandona per vivere col nuovo compagno, cerca di vederne il lato positivo e di trascorrere la sua esistenza nel migliore dei modi, gestendo da solo il suo negozio di noleggio barche. Quando i demoni della sua mente gli parlano, cerca di ignorarli il pi? possibile.
A volte accadono delle tragedie così immense, da travolgere un intero paese. E' il caso del terremoto e dello tsunami che l'11 marzo 2011 hanno scosso il Giappone,
non soltanto devastandone le coste ma anche le vite delle persone che
nel disastro hanno perso tutto. Su un gruppo di sopravvissuti, e in
particolare su un adolescente rimasto senza punti di riferimento, si
concentra “Himizu” di Sion Sono, pellicola che, curiosamente, nel giorno de “La talpa” (qui la recensione) porta il nome di una talpa giapponese.
Il mondo di Sumida è stato profondamente sconvolto dall'immane
catastrofe che ha spazzato via la sua casa e le sue certezze. Ora vive
con la madre in una baracca, intorno alla quale si è formato un
accampamento dove altre vittime dello tsunami sopravvivono giorno dopo
giorno. Ma Sumida è anche perseguitato da un padre alcolizzato, che ha
pure contratto un debito con la Yakuza, e da una compagna di
classe che lo assilla con il suo comportamento sopra le righe. Ben
presto, sarà trascinato a fondo dal desiderio di vendicarsi di tutte le
violenze subite.
“Himizu”, tratto dal manga di Minoru Furuya, è un film urlato:
non tanto e non solo perché i protagonisti non fanno che urlare e
prendersi a botte per due ore, quanto perché è come se, nel voler
sottolineare oltre ogni ragionevole dubbio i temi del suo racconto, Sono
abbia utilizzato il proprio film come un megafono attraverso cui
gridarli al mondo intero. La pellicola parte anche bene, con alcune
suggestive scene riprese tra le rovine nelle campagne giapponesi e un
paio di intuizioni felici: da un lato, i giovani protagonisti anelano
all'assoluta mediocrità della vita, aggrappandosi con le unghie al
bisogno di tornare alla normalità. Dall'altro, c'è il senso di
un paese sconvolto, allo sbando, dove tutto è ribaltato. I ragazzi sono
costretti a prendere decisioni da adulti, ma non hanno guide e
commettono errori. Gli adulti, da parte loro, sono visti come
figure altamente negative, incapaci di rimboccarsi le maniche per
sistemare dei problemi che, forse, c'erano già ben prima dello tsunami.
Ne esce un Giappone violento, brutale, dove il futuro è qualcosa di
melmoso e cupo.
Peccato che Sono ripeta con insistenza gli stessi concetti per due ore, realizzando un film didascalico e pedante. La messa in scena è poi davvero soffocante: ogni singola sequenza è studiata e composta come fosse una scena madre,
e il regista sembra davvero incapace di lasciare che per un attimo il
film prenda un po' d'aria, incapace di mettersi da parte anche solo per
un secondo per lasciare che siano le azioni dei personaggi, e non i
dialoghi o la regia, a dire qualcosa sui loro sentimenti. Verso la metà,
Sono perde totalmente il controllo della situazione, e il film ne
risente pesantemente, vagando tra commedia, tragedia, realismo,
surrealismo, senza sapere esattamente che strada prendere. Troppa carne al fuoco non giova, e non era nemmeno indispensabile visto che i nuclei tematici c'erano eccome, ed erano molto forti.
La palma del più fastidioso personaggio femminile a memoria recente va poi senz'altro alla Chazawa di Fumi Nikaido,
talmente opprimente con le sue mossette e la sua incontrollabile
logorrea da spingere più volte lo spettatore ad augurarsi che faccia una
brutta fine. Trattandosi della co-protagonista del film, non può
trattarsi di un buon segno.