Foxtrot - La danza del destino

Foxtrot - La danza del destino

Foxtrot è la danza di un uomo con il suo destino. È una parabola filosofica che analizza il concetto misterioso di fato attraverso la storia di un padre e di un figlio. Che sono fisicamente lontani ma che nonostante la distanza riusciranno a cambiare l’uno il destino dell’altro. Tre atti, come in una tragedia greca, per mettere in discussione un intero mondo, le sue convinzioni, i suoi sensi di colpa atavici. Quando degli ufficiali dell’esercito si presentano alla porta di casa e annunciano la morte del figlio Jonathan, la vita di Michael e Dafna viene sconvolta. Tutto appare incredibile e forse lo è: qualcosa di terribile è accaduto nell’isolato posto di guardia in cui il ragazzo prestava servizio sotto le armi – ma cosa, come, quando e perché? Tre atti, fra squarci di rabbia e lampi di ironia surreale, in cui la verità si avvicina beffarda a passo di danza ma il destino conserva per ultimo il suo scherzo più crudele.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Foxtrot
GENERE
NAZIONE
Israele
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
Academy Two
DURATA
113 min.
USCITA CINEMA
22/03/2018
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2017
di Marco Triolo
 
Che cosa resta dopo che la guerra ci ha strappato le persone care? Solo ricordi, immagini, lacrime e pazzia. Samuel Maoz torna a Venezia dopo aver vinto nel 2009 il Leone d'Oro con Lebanon. Foxtrot, il suo primo lungometraggio in otto anni, torna a parlare degli stessi temi, l'insensatezza della guerra, ma lo fa con uno stile decisamente più surreale e aperto, rispetto alla claustrofobica parabola che incantò la giuria di Venezia 66.
 
Foxtrot è un film diviso in tre atti distinti. Nella prima parte, una famiglia di Tel Aviv viene informata della morte del figlio in combattimento. Dopo la tragedia arriva la beffa: in realtà si è trattato di un caso di omonimia e il ragazzo, Jonathan, è vivo e vegeto. Nel secondo atto incontriamo Jonathan in un avamposto isolato, dove insieme a tre commilitoni esegue compiti di routine e combatte la noia, dormendo in un container che pian piano affonda nel fango. Il terzo atto... non lo sveliamo, perché contiene una sorpresa. Ma diciamo che torna a parlare di elaborazione del lutto.
 
I primi due atti hanno il loro fascino. Specialmente il secondo, perché il comparto visivo è costruito con attenzione. La fotografia, i colori, gli elementi del set: tutto è gestito con enorme maestria e Maoz conferma di avere grande occhio. Si sorride, a volte si ride, grazie a un'ironia e uno humour che spezzano la cupezza dei temi trattati. Il problema è che le metafore messe in campo da Maoz (regista e sceneggiatore) sono piuttosto banali. Il tedio della guerra, la mancanza di senso e scopo, la sua ripetitività e l'anonimia dei “nemici”, sono cose che abbiamo già visto e a cui Maoz stenta ad aggiungere qualcosa di nuovo. Nondimeno, fino al termine del secondo atto Foxtrot funziona, pur nel contrasto tra le due parti, o forse proprio grazie ad esso.
 
È il terzo atto, che sembra tornare indietro, che gira su se stesso a vuoto ed è didascalico e “teatrale” nel modo peggiore, a stonare. Si esce dalla sala con l'impressione che, se Maoz avesse messo a fuoco meglio ciò che intendeva raccontare invece di compiacersi di se stesso e del suo controllo formale della messa in scena, forse avremmo assistito a un lavoro all'altezza di Lebanon. Un'impressione che non sarebbe stata la stessa se il terzo atto non fosse esistito.