DolceRoma

DolceRoma

Andrea Serrano (Lorenzo Richelmy) è un aspirante scrittore che è costretto a lavorare in un obitorio in attesa della grande occasione della sua vita. Che finalmente arriva. Un grande produttore cinematografico, Oscar Martello (Luca Barbareschi), ha deciso di portare sul grande schermo il suo romanzo Non finisce qui. Ma i capitali a disposizione sono modesti, il regista (Luca Vecchi) è incompetente e il risultato è disastroso. La protagonista, Jacaranda Ponti (Valentina Bellè) istigata dalla sua agente Milly (Iaia Forte), temendo ripercussioni alla sua carriera, distrugge tutti gli hard disk che contengono il montato del film. Ma Oscar Martello non può permettersi un fallimento. Il film deve uscire. Il distributore Remo Golia (Armando De Razza) gli fa pesanti pressioni e anche la sua affascinante e facoltosa consorte (Claudia Gerini), gli fa capire che non può permettersi di andare in bancarotta. Così, con l’aiuto di Andrea, concepisce un piano diabolico: il rapimento da parte della criminalità organizzata della protagonista del film: i media impazziranno e il film sarà leggenda ancor prima di arrivare in sala. Il piano sembra funzionare, nonostante il poliziotto Raul Ventura (Francesco Montanari) si metta sulle tracce di Oscar sospettando una truffa. Ma l’improvvisa e inaspettata  scomparsa di Jacaranda farà precipitare la situazione.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
DolceRoma
GENERE
NAZIONE
Italia
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
01 distribuzione
DURATA
105 min.
USCITA CINEMA
04/04/2019
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2019
di Marco Triolo
 

Per capire l'importanza che anche un film non fondamentale come DolceRoma riveste nel panorama, in grande mutamento, del cinema italiano di oggi, dobbiamo fare un passo indietro di poco più di un decennio. Nel 2006 usciva Il caimano di Nanni Moretti, che ricostruiva le vicende politiche e giudiziarie di Silvio Berlusconi. Protagonista del film era Silvio Orlando nei panni di un produttore di film di genere caduto in disgrazia. Moretti si spingeva fino a mostrare alcune sequenze di quei fantomatici film, ma così facendo denunciava uno snobismo culturale che diventava limite stilistico. Non gli piacevano i film di genere, men che meno quelli italiani degli anni '70, e questo lo rendeva incapace di ricostruirne filologicamente lo stile. Quello dimostrato da Moretti era un atteggiamento condiviso da buona parte del cinema d'autore italiano, un rigetto di tutto quel cinema che non aveva altri scopi se non intrattenere il pubblico.
 
Stacco a tredici anni dopo, e qualcosa ha cominciato a muoversi. In giro c'è una nuova generazione di autori che con quei generi, non solo quelli italiani ma anche e soprattutto quelli internazionali, sono cresciuti. È attraverso i film di intrattenimento degli anni '80 e '90 che hanno imparato ad amare il cinema, e ora che loro stessi, un tempo spettatori, sono diventati registi, quel debito intendono saldarlo.
 
Fabio Resinaro fa parte di questa generazione, di questa nuova intellighenzia del cinema italiano relativamente giovane (sono tutti intorno ai 40 o poco meno) che sta lentamente cercando di cambiare le cose. DolceRoma, opera seconda di Resinaro e prima senza il socio Fabio Guaglione (con cui ha diretto la coproduzione internazionale Mine), è un esempio perfetto di questo nuovo atteggiamento. Non è necessariamente cinema di genere, nel senso che non c'è un solo genere ma una commistione di vari. A tratti è più un dramma sul mondo del cinema e vuole decisamente dire qualcosa di più “alto” attraverso le vicende narrate. Ma lo fa con una consapevolezza tecnica tale da permettergli di creare uno stile coinvolgente, schizofrenico eppure funzionale al racconto, che gli dona personalità. Resinaro, a differenza di Moretti, conosce a memoria stilemi e cliché dei generi e li usa con perfetta cognizione di causa nei momenti in cui servono.
 
La storia di un giovane aspirante scrittore (Lorenzo Richelmy), che viene risucchiato in una spirale di menzogne e tradimenti quando viene chiamato a Roma da un produttore (Luca Barbareschi) per adattare al cinema un suo romanzo, consente a Resinaro di esplorare un'idea abbastanza interessante: mentre nel cinema americano la grande occasione, di solito, tira fuori il meglio dalle persone, qui ne evoca il peggio. Da un lato c'è il Sogno Americano del self made man, della seconda occasione. Dall'altro gli italiani con i loro intrallazzi e la spinta quasi innata a truccare le carte e cercare le scorciatoie.
 
Per il resto, tuttavia, siamo sempre dalle parti della discesa agli inferi, e la sceneggiatura presenta svariati punti morti da cui il film è costretto ogni volta a ripartire. Svanito l'effetto rinfrescante dello stile sopra le righe di Resinaro, DolceRoma a un certo punto inizia un po' a girare a vuoto. È colpa anche di parte del cast: Richelmy pronuncia le sua battute con una freddezza che, sulle prime, aiuta a definire il personaggio, ma alla lunga ne limita le capacità espressive. La sua alchimia con Valentina Bellè latita, e questo è un bel problema quando intere sequenze si poggiano sulle loro spalle. Meno male che ci pensano Luca Barbareschi e Francesco Montanari a restituire un po' di energia al film, l'uno con una performance esagerata e vitale, l'altro incredibilmente contenuto e sottotraccia, eppure iconico grazie a una serie di tormentoni ben piazzati.
 
Il problema principale è, forse, che DolceRoma parte con una carica stilistica innovativa e dirompente per poi adagiarsi su toni da dramma piuttosto conservatori. Inizia come una satira grottesca e si normalizza via via. Con il risultato che certi elementi perfettamente a loro agio nella prima parte, come la recitazione enfatica e teatrale, risultano fuori posto nella seconda.
 
Ciò detto, DolceRoma è comunque un film divertente e in buona parte riuscito. Tecnicamente è perfetto, dalle scenografie al montaggio, dalla fotografia al sonoro, tutto cospira per creare un prodotto di livello internazionale. Una volta si diceva: “Dopo cinque secondi già ti accorgi che è un film italiano”. Ecco, quel vecchio problema è ormai svanito, per fortuna.
 
Che DolceRoma non sia un'opera fondamentale lo abbiamo detto sin dall'inizio. Ma lo devono essere tutti i film? Certo che no. Se la missione di Resinaro è quella di divertirci, possiamo dire senza dubbio che la missione è compiuta.