Diaz
Luca è un giornalista della Gazzetta di Bologna. È il 20 luglio 2001, l'attenzione della stampa è catalizzata dagli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine durante il vertice G8 di Genova. In redazione arriva la notizia della morte di Carlo Giuliani. Luca decide di partire per Genova, vuole vedere di persona cosa sta succedendo. Alma è un'anarchica tedesca che ha partecipato agli scontri. Sconvolta dalle violenze cui ha assistito, decide di occuparsi delle persone disperse insieme a Marco, un organizzatore del Genoa Social Forum, e Franci, una giovane avvocato del Genoa Legal forum. Nick è un manager che si interessa di economia solidale, arrivato a Genova per seguire il seminario dell'economista Susan George. Anselmo è un vecchio militante della CGIL e con i suoi compagni pensionati ha preso parte ai cortei contro il G8. Etienne e Cecile sono due anarchici francesi protagonisti delle devastazioni di quei giorni. Bea e Ralf sono di passaggio e hanno deciso di riposarsi alla Diaz prima di partire. Max, vicequestore aggiunto del primo reparto mobile di Roma, comanda il VII nucleo e non vede l'ora di tornare a casa da sua moglie e sua figlia.Luca, Alma, Nick, Anselmo, Etienne, Marco e centinaia di altre persone incrociano i loro destini la notte del 21 luglio 2001.
“L'italiano non gli è bastato”: Daniele Vicari non manca di citare Carlo Giuliani e l'altro episodio più tristemente famoso del G8 di Genova all'inizio del suo “Diaz - Don't Clean Up This Blood”,
importante film di impegno civile che narra con maestria
cinematografica una delle pagine più cupe della storia italiana recente.
Giuliani aleggia su tutto il film come uno spettro inquietante, un
segnale che avrebbe dovuto già fare abbassare i toni a entrambe le
fazioni, polizia e manifestanti, ma che non fu colto da nessuno.
Vicari sceglie la strada già battuta da Orson Welles in “Quarto potere”,
ovvero quella di rinarrare diverse volte la stessa vicenda,
osservandola dai vari punti di vista dei testimoni alla mattanza della
scuola Diaz. La pellicola si apre sul volo, al ralenti e in rewind, di
una bottiglietta di vetro: la vediamo a pezzi, mentre si ricompone e
torna nelle mani di chi l'ha lanciata, un no global. Capiamo subito le
intenzioni di Vicari: rimettere insieme tutti i frammenti di una lunga e
violenta notte per darci un quadro chiaro di cosa successe nei corridoi
della Diaz.
E Vicari ci riesce alla perfezione: sfruttando alla meglio tutto il
repertorio del linguaggio cinematografico (dai dolly alla camera a
spalla) e mescolando fiction e materiale di repertorio, il
regista mette in scena un film potente e brutale, sanguinario ma anche
in grado di far riflettere a suon di pugni nello stomaco. Ogni
colpo inferto si sente, ed è un colpo scagliato contro la democrazia del
nostro paese. Pur introducendo una schiera di personaggi a tutto tondo –
compreso un poliziotto onesto (Claudio Santamaria)
e dei black bloc per nulla “mostruosi”, tanto per non demonizzare
nessuna delle parti – Vicari non esita a puntare il dito contro le forze
dell'ordine, composte da ragazzotti violenti che hanno solo voglia di
menare le mani, e i politici, intenzionati a fare della Diaz un capro
espiatorio per scoraggiare ogni futura protesta.
Non mancano piccoli difetti, come certe scene di violenza un po'
gratuite e alcuni dialoghi legnosi. Ma si tratta di dettagli, e nel
complesso il film regge e fa il suo sporco lavoro. Anche se la cosa che
fa più paura è scoprire che, di tutti i poliziotti condannati per abuso
di ufficio, nessuno è stato finora sospeso dal servizio.
di Marco Triolo