

Dark Horse

Un trentenne dalla crescita emotiva bloccata ? costretto a vivere con i genitori. L'uomo passa il tempo a lavorare malvolentieri col padre e collezionare avidamente giocattoli. Quando si imbatte in una trentenne con gli stessi problemi, decide di abbandonare lo status di 'dark horse' della famiglia e provare a combinare qualcosa di buono nella vita.

Todd Solondz ritorna in Laguna per presentare in concorso il sesto lungometraggio di una delle carriere più interessanti del cinema americano contemporaneo. Con il suo stile unico fatto di paradossi narrativi, intermezzi onirici e grottesca comicità, il cineasta di Newark sta contribuendo da anni a scavare “cinematograficamente” nelle contraddizioni della società americana, in particolare nei rapporti familiari.
Succede così anche con “Dark Horse”, classica espressione inglese con cui si è soliti definire il cavallo
scommessa, quello che non viene dato per favorito, ma per il quale si
punta lo stesso. E' questo l'appellativo del resto che dà di sé stesso
il protagonista del film, Abe (straordinariamente interpretato dal misconosciuto Jordan Gelber), nonché ripetuto anche da suo padre qualche minuto dopo. E' pigro, eccessivamente grasso, spaccone, insicuro e anche un po' bugiardo,
ma nonostante questo lo spettatore fa subito il tifo per lui, per la
sua affrettata dichiarazione di matrimonio ad una bellissima ragazza che
a malapena si ricorda il suo nome e per tutto un mondo di speranze che
lui cova da sempre e a cui è prevedibile pensare che la vita dirà di no.
I personaggi di Solondz, così come lo sviluppo delle sue storie, sono sempre in grado di stupire e di allontanarsi da qualsiasi percorso normalmente immaginato dal pubblico. Accade così anche con “Dark Horse”,
pellicola in cui i difficili rapporti con un padre severo, ma
accondiscendente, una madre casalinga disperata senza saperlo e un
gruppo di colleghi altrettanto bizzarri, vengono rappresentati con il suo solito tocco di malinconica ironia in cui non si capisce mai bene se si è autorizzati a ridere o a spaventarsi.
Nel suo viaggiare sopra alle righe, Solondz però finisce comunque
sempre per entrare come un trapano nel tessuto della nostra civiltà,
sbatte le verità in faccia non da un punto di vista realistico, ma
sicuramente empatico e rappresentativo. E' per arrivare a questi scopi
che tutto ciò che è “intorno alla storia” appare sempre come eccessivamente ordinato, un po' come da sempre fa anche Wes Anderson. In questo caso tutti
i personaggi maschili della famiglia di Abe vestono sempre polo e
camicie Ralph Lauren, le case sono quelle classicamente prestrutturate
del New Jersey che si possono smontare e spostare nel continente a bordo
di un camion e così via. Tante suggestioni le portano poi le solite, eccezionali interpretazioni del suo cast.