Come Dio comanda
Rino e Cristiano Zena, padre e figlio, vivono in una desolata provincia del nord Italia. Rino è disoccupato e mantiene sé stesso e suo figlio come può. Il ragazzo frequenta le scuole medie ed è molto legato al padre che lo sta educando secondo violenti principi razzisti, maschilisti e nazionalsocialisti, ma che lo ama più della sua stessa vita. Il loro unico amico si chiama '4 formaggi', un disadattato che gira per le discariche a raccogliere materiali di recupero per finire un suo strano presepio. '4 formaggi' si mette in guai seri per aver violentato e ucciso Fabiana, una compagna di scuola di Cristiano, e cerca aiuto da Rino che però non accetta di coprire il suo crimine. Durante la violenta discussione che i due hanno sul luogo del delitto, Rino viene colpito da un ictus ed è ricoverato in ospedale, in stato di coma, mentre '4 formaggi' fugge via. Cristiano è convinto che sia stato suo padre ad uccidere Fabiana ma, secondo i principi che lui gli ha insegnato, decide di occultare il corpo e proteggere Rino.
VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Come Dio comanda
GENERE
NAZIONE
Italia
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
01 distribuzione
DURATA
103 min.
USCITA CINEMA
12/12/2008
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2008
Nordest italiano: un padre ex operaio ora disoccupato che giustifica il proprio malessere con idee neofasciste, un figlio adolescente che segue il genitore come un'ombra sia nella vita quotidiana che nei pensieri, un ritardato mentale che passa le giornate bighellonando per il paese.
Tre personaggi su cui si posano le fondamenta di “Come Dio comanda”, nuovo lavoro di Gabriele Salvatores, nonché seconda collaborazione tra il regista napoletano e lo scrittore Niccolò Ammaniti, ideatore sia dell'omonimo romanzo, Premio strega, da cui è tratto il film, che coautore della sceneggiatura. Ritorna, quindi, dopo “ Io non ho paura” il tema della paternità: se lì era un rapporto conflittuale che finiva con la ribellione del figlio ad un padre non così buono come si voleva immaginare all'inizio, qui si racconta una sorta di simbiosi tra le due figure, un amore incondizionato basato sulla consapevolezza che al mondo non ci sia nessuno per loro se non l'uno per l'altro, e viceversa.
Date le grigie premesse,a scombinare l'abituale scoramento quotidiano non poteva che essere una tragedia. La porta in dote, a metà film, il terzo vertice della vicenda, quel Quattroformaggi che dopo un non chiarito incidente sul lavoro che gli ha provocato disturbi psichici perenni, è stato adottato, di fatto, dagli altri due. Non distingue la realtà dalla fantasia, vive d'istinti sottacendo una violenza latente che è tipica di chi vive seguendo i propri bisogni primari. Le ripercussioni sulle vite degli altri non possono che essere altrettanto drammatiche.
Riducendo in maniera sostanziale il numero dei personaggi presenti nel libro, Salvatores realizza un film diviso in due tronconi narrativi: nel primo si da spazio alla parte descrittiva dei personaggi, ci si preoccupa (spesso con dialoghi grezzi, tesi a dare il maggior numero di informazioni nel più breve tempo possibile) di dare le varie coordinate della storia, lanciando vari spunti narrativi che si presume abbiano uno sviluppo successivamente (come il plagio mentale del padre sul figlio o le condizioni sul lavoro); nel secondo si costruisce una sorta di thriller dell'equivoco in cui tutta la tensione dello spettatore, che ha visto come sono andati davvero gli eventi, risiede nell' attesa di vedere la verità rivelata anche ai protagonisti. Sul tutto aleggia il fil rouge dello spiritualismo negato, quel Dio che non comanda, non interviene e lascia che la solitudine si riveli anche assassina.
Se da una parte si apprezza il tentativo di aver voluto costruire un racconto con personaggi inizialmente “antipatici”, lontani da possibili immedesimazioni e che solo poco alla volta trovano la propria giustificazione/redenzione, dall'altra sembra mancare, a quest'opera, un cuore pulsante, un centro forte dal quale far partire tutte le varie ramificazioni narrative e concettuali. Non lo è l'amore che il figlio nutre per il padre, troppo poco esplorato e rinchiuso solo in un paio di pseudo emblematiche scene, non lo è l'indifferenza delle persone, occhi invisibili davanti il malessere palese di chi gli vive accanto, non lo è il senso di colpa, accennato solo nel finale. I personaggi non si sviluppano, rimangono fermi sulle loro posizioni dall'inizio alla fine, vivono i problemi del presente come eventi e non stimoli per cambiare o comprendere. Difficile affezionarcisi, così come restano irrisolti buona parte delle tematiche accennate nella prima ora del film.
La regia di Salvatores è brava a suggerire una sorta di impermeabilità alla storia, a tenere uno sguardo gelido su ciò che si nasconde dietro a realtà che spesso leggiamo sintetizzate in titoli e articoli di cronaca, ma non colpisce mai al fondo delle emozioni, se non nella bella scena dell'inseguimento in tunnel (in cui magistralmente anticipa la tensione del dopo) e nei primi due utilizzi (dopo diventa esagerato)di una canzone dolce come “She is the one” di Robbie Williams, messa in contrasto il rosso e il nero che scorrono sullo schermo.
E' vero, come dice Salvatores, che alla base di tutta la storia ci sono i capisaldi narrativi delle opere shakespeariane “c'è un genitore, un giovane principe in crisi, uno scemo di corte, l'equivoco e il gioco del destino”, ma basta questo alto riferimento per giustificare un film firmato da due degli esponenti di maggior rilievo della nostra attuale letteratura e cinematografia? “Come Dio comanda” è un discreto film fatto con mestiere, ma le ambizioni degli autori e le aspettative dello spettatore, memore anche del bel “Io non ho paura” erano ben altre.
Tre personaggi su cui si posano le fondamenta di “Come Dio comanda”, nuovo lavoro di Gabriele Salvatores, nonché seconda collaborazione tra il regista napoletano e lo scrittore Niccolò Ammaniti, ideatore sia dell'omonimo romanzo, Premio strega, da cui è tratto il film, che coautore della sceneggiatura. Ritorna, quindi, dopo “ Io non ho paura” il tema della paternità: se lì era un rapporto conflittuale che finiva con la ribellione del figlio ad un padre non così buono come si voleva immaginare all'inizio, qui si racconta una sorta di simbiosi tra le due figure, un amore incondizionato basato sulla consapevolezza che al mondo non ci sia nessuno per loro se non l'uno per l'altro, e viceversa.
Date le grigie premesse,a scombinare l'abituale scoramento quotidiano non poteva che essere una tragedia. La porta in dote, a metà film, il terzo vertice della vicenda, quel Quattroformaggi che dopo un non chiarito incidente sul lavoro che gli ha provocato disturbi psichici perenni, è stato adottato, di fatto, dagli altri due. Non distingue la realtà dalla fantasia, vive d'istinti sottacendo una violenza latente che è tipica di chi vive seguendo i propri bisogni primari. Le ripercussioni sulle vite degli altri non possono che essere altrettanto drammatiche.
Riducendo in maniera sostanziale il numero dei personaggi presenti nel libro, Salvatores realizza un film diviso in due tronconi narrativi: nel primo si da spazio alla parte descrittiva dei personaggi, ci si preoccupa (spesso con dialoghi grezzi, tesi a dare il maggior numero di informazioni nel più breve tempo possibile) di dare le varie coordinate della storia, lanciando vari spunti narrativi che si presume abbiano uno sviluppo successivamente (come il plagio mentale del padre sul figlio o le condizioni sul lavoro); nel secondo si costruisce una sorta di thriller dell'equivoco in cui tutta la tensione dello spettatore, che ha visto come sono andati davvero gli eventi, risiede nell' attesa di vedere la verità rivelata anche ai protagonisti. Sul tutto aleggia il fil rouge dello spiritualismo negato, quel Dio che non comanda, non interviene e lascia che la solitudine si riveli anche assassina.
Se da una parte si apprezza il tentativo di aver voluto costruire un racconto con personaggi inizialmente “antipatici”, lontani da possibili immedesimazioni e che solo poco alla volta trovano la propria giustificazione/redenzione, dall'altra sembra mancare, a quest'opera, un cuore pulsante, un centro forte dal quale far partire tutte le varie ramificazioni narrative e concettuali. Non lo è l'amore che il figlio nutre per il padre, troppo poco esplorato e rinchiuso solo in un paio di pseudo emblematiche scene, non lo è l'indifferenza delle persone, occhi invisibili davanti il malessere palese di chi gli vive accanto, non lo è il senso di colpa, accennato solo nel finale. I personaggi non si sviluppano, rimangono fermi sulle loro posizioni dall'inizio alla fine, vivono i problemi del presente come eventi e non stimoli per cambiare o comprendere. Difficile affezionarcisi, così come restano irrisolti buona parte delle tematiche accennate nella prima ora del film.
La regia di Salvatores è brava a suggerire una sorta di impermeabilità alla storia, a tenere uno sguardo gelido su ciò che si nasconde dietro a realtà che spesso leggiamo sintetizzate in titoli e articoli di cronaca, ma non colpisce mai al fondo delle emozioni, se non nella bella scena dell'inseguimento in tunnel (in cui magistralmente anticipa la tensione del dopo) e nei primi due utilizzi (dopo diventa esagerato)di una canzone dolce come “She is the one” di Robbie Williams, messa in contrasto il rosso e il nero che scorrono sullo schermo.
E' vero, come dice Salvatores, che alla base di tutta la storia ci sono i capisaldi narrativi delle opere shakespeariane “c'è un genitore, un giovane principe in crisi, uno scemo di corte, l'equivoco e il gioco del destino”, ma basta questo alto riferimento per giustificare un film firmato da due degli esponenti di maggior rilievo della nostra attuale letteratura e cinematografia? “Come Dio comanda” è un discreto film fatto con mestiere, ma le ambizioni degli autori e le aspettative dello spettatore, memore anche del bel “Io non ho paura” erano ben altre.