Being Flynn
Durante i suoi vent'anni, un giovane lavora in vari ricoveri per i senzatetto a Boston, dove spesso s'incrocia con il suo brillante ma tormentato padre.
Che una sola performance ad alto livello non significhi rinascita artistica è certo, ma constatare che Robert De Niro è ancora in grado di essere l'attore immenso che abbiamo amato in tempi passati è senza dubbio una bella soddisfazione. E dire che il personaggio da lui interpretato in “Being Flynn”
poteva rappresentare una trappola pericolosa per scivolare nella facile
gigioneria: un uomo sconfitto dalla vita, rinchiuso nel suo rancore,
convinto di essere un grande scrittore e invece costretto a vivere di
stenti, guidando un taxi, fino a ritrovarsi a dover essere ospite di un
istituto per senzatetto. Qui Jonathan ritrova suo figlio Nick,
che aveva abbandonato insieme alla madre molti anni prima. Il ragazzo è
cresciuto senza una figura di riferimento, sbandato nella sua
confusione giovanile e terrorizzato dall'idea di essere un loser come
suo padre. I due dovranno imparare a conoscersi attraverso il loro
reciproco dolore e a superarlo.
Tratto dal libro autobiografico di Nick Flynn, “Un'altra notte di cazzate in questo schifo di città” (edito da Mondadori), il film conferma la sensibilità del regista Paul Weitz, già candidato all'Oscar per la sceneggiatura non originale del suo “About a Boy”. In questo caso il cineasta riesce a padroneggiare la materia altamente drammatica di partenza con una
lucidità narrativa e di messa in scena che sa far arrivare allo
spettatore tutto il dolore dei personaggi senza però scadere mai nel
trito melodramma.
Figura molto amara e umanissima, Nick è interpretato con la solita pienezza da Paul Dano, che con questa prova si conferma uno dei giovani attori più preparati della sua generazione. Accanto a lui una Julianne Moore che con pochissime scene lascia un segno indelebile. Se tutti gli attori di “Being Flynn”
sono perfetti nei rispettivi ruoli è dovuto al fatto che sono il film e
la storia a funzionare davvero bene. A parte qualche piccola lentezza
all'inizio, il lungometraggio si sviluppa poi come racconto sincero e doloroso di un rapporto padre/figlio difficilissimo quanto toccante,
dove ognuno dei due “antagonisti” deve trovare il coraggio di conoscere
se stesso e affrontare le proprie pulsioni autodistruttive prima di
poter abbracciare l'altro.
Ci troviamo di fronte a un'opera non facile da gestire per il grande pubblico,
un film ambientato nei sobborghi poveri, tra le panchine dei parchi o
negli angoli più bui delle strade di periferia. L'umanità di chi non ha
nulla è sempre difficile da portare sul grande schermo, ma il film di
Weitz ci riesce con un pudore e una lucidità encomiabili, senza falsa
retorica o scene ad effetto create appositamente per scuotere il
pubblico. No, “Being Flynn”
vuole raccontare la caduta e il tentativo di risalita di due uomini
confusi e deboli, tutto qui. Il risultato è senza dubbio ammirevole.
di Adriano Ercolani