Amour
George e Annes, ottantenni, sono due insegnanti di musica in pensione. La loro figlia, anche lei musicista, vive lontano con la sua famiglia. Un giorno, Anne ha un malore, e la stabilità del rapporto tra i due viene messa a dura prova.
La casa della morte. La perdita dei propri cari e l'abbandono della
voglia di vivere, devastati dal dolore della perdita. Ci sono entrambi
nel nuovo film di Michael Haneke, una pellicola che il regista austriaco definisce “semplice”… Semplice come una coltellata al cuore.
“Amour” parla della
fine improvvisa di ogni certezza, con il dramma che inevitabilmente
bussa alle nostre porte. Come fare ad accoglierlo? Per una volta lasciando la sala non si esce disturbati da un film di Haneke. Quella che si prova è rassegnazione, ultima soluzione per far fronte al
dolore. Poi arriva la commozione. A ventiquattro ore dalla visione
sulla Croisette, il film rimane ancora al centro dei pensieri. Non si
dimentica e cresce. Abbiamo assistito a quello che è il film più
accessibile del regista di “Funny Games”.
Chi avrebbe mai pensato che Haneke si sarebbe messo a discutere
dell'amore e chi avrebbe mai pensato che lo avrebbe fatto in questo
modo? Definito da molti il film sul sacrificio d'amore estremo, “Amour” sembra quasi un documentario con la macchina da presa statica che si affida totalmente alla performance da applausi a scena aperta di Jean-Louis Trintignant.
Nel corso delle due ore di film, l'attore si sottopone a un'overdose di
sofferenza, cercando di combatterla, accettandola e forse
sconfiggendola.
Il cinema si ferma ancora una volta e riparte con il regista che mette
in scena la tragedia ultima con la quale chiunque può identificarsi. Le
sue immagini potentissime e i suoi ritmi veritieri non sbagliano un
colpo.
di Pierpaolo Festa