22 luglio

22 luglio

Paul Greengrass racconta la vera storia delle conseguenze del peggior attacco terroristico perpetrato in Norvegia. Il 22 luglio 2011, un estremista di destra uccise 77 persone facendo esplodere un'autobomba a Oslo, prima di compiere un omicidio di massa in un campeggio di adolescenti. 22 luglio segue il viaggio fisico ed emotivo di un sopravvissuto e narra la strada intrapresa dalla nazione per cercare di riprendersi e trovare la riconciliazione.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
22 July
GENERE
NAZIONE
Norge
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
Netflix
DURATA
143 min.
USCITA CINEMA
10/10/2018
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2018
di Marco Triolo
 
A pochi mesi dalla presentazione a Berlino di U – July 22, arriva un secondo film sui tragici fatti di Utoya, l'isola vicina a Oslo attaccata nel luglio 2011 da un estremista di destra. Settantasette persone, la maggior parte ragazzi accorsi per un campo estivo laburista, furono falciate dai colpi delle sue armi. Altre otto persone morirono per un'autobomba a Oslo, piazzata dallo stesso uomo, Anders Behring Breivik.
 
Ma 22 Luglio, film Netflix (l'ennesimo di Venezia 75) diretto da Paul Greengrass è completamente diverso da quello norvegese. U – July 22 era una ricostruzione dell'assalto a Utoya, il film di Greengrass lo confina al primo atto e passa il resto del tempo a esaminare le conseguenze di quell'atto di violenza indicibile. Seguendo non solamente il processo a Breivik (che scelse come difensore un avvocato iscritto al Partito Laburista), ma la convalescenza di uno dei sopravvissuti, Viljar (Jonas Strand Gravli) e la sua determinazione a lasciarsi alle spalle il trauma nonostante le ferite gravissime e le menomazioni fisiche subite.
 
Un'opera di divulgazione, potremmo dire, che meticolosamente ricostruisce un pezzo di storia recente per parlare di temi attualissimi come l'integrazione, la paura delle migrazioni, il razzismo strisciante che rischia, a braccetto con i movimenti populisti, di deragliare la storia d'Europa verso un ritorno all'odio che ha condotto alla Seconda Guerra Mondiale. Il tutto ambientato in un Paese che “ha lottato per la sua democrazia”, come ha affermato Greengrass. Che si concentra molto sulla strenua difesa del garantismo da parte dell'avvocato di Breivik, un uomo di sinistra che viene persino minacciato perché difende un neonazista.
 
La storia di Viljar incarna invece il lato più retorico del film. Greengrass è inglese, ma gli anni a lavorare in America si vedono in questo personaggio. Che, a un certo punto, quando scopre di dover apparire al processo di Breivik, si allena per tornare in forma e non darla vinta al suo aggressore. È la seconda occasione, la rinascita dopo una tragedia tipica del Sogno Americano, trapiantata però nella società norvegese.
 
Lo stile del regista di Bourne, fatto di camera a mano, montaggio frenetico e caos controllato, esce fuori solamente nel primo atto, quando seguiamo Breivik nella sua “missione” e i ragazzi di Utoya che fuggono verso la salvezza. Poi però il film si trasforma in un dramma legale e famigliare, ed è lì che perde la spinta iniziale. Diventando poco più di un'opera televisiva, confezionata in maniera impeccabile ma che non lascia il segno e non trova una chiave di lettura che la giustifichi davvero. Un peccato, perché Greengrass ha già dimostrato di saper affrontare temi simili in Bloody Sunday, Captain Phillips e United 93. Ma stavolta non ha fatto centro.