20 sigarette
Novembre 2003: Aureliano (Giorgio Colangeli), 28enne, precario nel lavoro e negli affetti, riceve all'improvviso l'offerta di partire per lavorare come aiuto regista alla preparazione di un film che si svolge in Iraq, al seguito della "missione di pace" dei militari italiani, con il regista Stefano Rolla (Vinicio Marchioni). Aureliano non fa in tempo a finire un pacchetto di sigarette che si ritrova protagonista della tragedia dell'attentato alla caserma di Nassirya del 12 Novembre 2003. E' l'unico "civile" sopravvissuto di una strage che ha ucciso ben 19 italiani...
La trasposizione cinematografica dell'esperienza vissuta da Aureliano
Amadei nella tragedia dell'attentato kamikaze a Nassiriya del novembre
del 2003, possiede i pregi ed i difetti dell'opera prima, oltretutto
così personale e quindi sentita da parte del regista. Il tono leggero,
quasi sbarazzino con cui viene presentato il personaggio di Amadei e la
“beata” noncuranza con cui si trasferisce in Iraq per realizzare il film
con il regista Stefano Rolla è senz'altro funzionale
come contraltare al dramma che si sviluppa nella seconda parte, ma a
livello puramente cinematografico non funziona a dovere. La messa in
scena è scarna, accenna ma non definisce con precisione la psicologia
delle figure raccontate. Quello che era stato descritto con lucidità ed
una certa ironia nel libro “20 sigarette a Nassiriya” dallo stesso protagonista nel film diventa eccessivamente velato.
Una decisa svolta si ha invece con la scena dolorosa e coinvolgente
dell'attentato: i questo caso la scelta estetica di Amadei è molto
precisa e funzionale, e getta lo spettatore in un vortice di sangue e
violenza che restituisce in pienezza la forza devastante dell'attentato.
Questa è senza dubbio la sequenza migliore di “20 Sigarette”,
pellicola che alterna dopo questo momenti di leggerezza ad altri più
toccanti, non riuscendo a trovare un equilibrio convincente tra
l'alternanza di toni. Anche nell'ultima parte ci sono un paio di scene
senza dubbio riuscite – dovute anche alla bravura di Vinicio Marchioni -, però la sensazione che se ne trae è che Aureliano Amadei non sia
riuscito a centrare con lucidità il discorso da portare avanti: il
sospetto è quello che il naturale coinvolgimento nel raccontare la
propria, devastante vicenda personale abbia in qualche modo influenzato
la capacità del cineasta di focalizzare con precisione la base su cui
poggiare la narrazione.
Analizzata la riuscita del film, bisogna poi fare un discorso più ampio -
più o meno legittimo, è un giudizio personale – sull'importanza di “20 Sigarette”,
racconto che viene giustamente costruito come del tutto personale e
tale rimane, senza riuscire a gettare uno sguardo generale sulla guerra
in Iraq e sulla partecipazione dell'esercito italiano alla missione di
pace in questo Paese.
Il paragone con alcune pellicole americane è inutile, ingeneroso e se
visto dal verso sbagliato anche fuorviante: se pensiamo però ad opere
come “Redacted” , “Nella valle di Elah” o anche “The Hurt Locker”
, tutti questi lungometraggi riescono a mostrare dietro la storia
principale le conseguenze della guerra in Iraq sulla psicologia dei
cittadini, e soprattutto le contraddizioni sociali e politiche
dell'intervento americano in Medio Oriente.
“20 Sigarette”
non sembra voler affrontare questi discorsi più vasti, oppure non ci
riesce. Qualunque sia delle due ipotesi, a noi questa è sembrata
un'evidente mancanza del film.