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Villeneuve: “Vi racconto la violenza necessaria di Hugh Jackman”

Il regista di Prisoners mostra il lato oscuro della star di Wolverine

08.11.2013 - Autore: Pierpaolo Festa
Esterno. Paesaggio innevato. Un cervo si fa strada tra gli alberi e si ferma. La canna di un fucile gli si piazza davanti a circa 10 metri. Dietro quel grilletto ci sono un padre e un ragazzino. Il più anziano recita una preghiera. Il più piccolo è pronto a sparare. Inizia così Prisoners, con Hugh Jackman nei panni del cacciatore di provincia americana. Un padre di famiglia molto religioso che affronta l'incubo più terribile: la sparizione di sua figlia. Totalmente diffidente delle istituzioni, proverà a indagare e farsi giustizia da solo.



Assistere alle due ore e mezza del film di Denis Villeneuve è come fare un viaggio indietro nel tempo di circa dieci, quindici anni. L'epoca antecedente all'era dei franchise e dei remake, quella in cui le major di Hollywood potevano ingaggiare le superstar in ruoli a metà strada tra il bene il male. In quei film i protagonisti potevano fumare, dire le parolacce e perfino spargere del sangue senza troppe spiegazioni. Il protagonista di Prisoners è un padre di famiglia pronto a oltrepassare il limite di ciò che è giusto e diventare schiavo della sua stessa violenza.

Nel momento in cui ho avuto Hugh Jackman sono riuscito a fare il mio film – assicura Villenuve quando Film.it lo raggiunge al telefono – Mi ha regalato una performance incredibile. Il suo personaggio è l'americano della working class. Un padre di famiglia travolto dalla crisi economica. Un personaggio che sembra uscito da una canzone di Springsteen".

E' proprio in quella prima scena che vediamo la contraddizione: una preghiera e un'uccisione nello stesso momento...
La preghiera l'ho aggiunta io in sceneggiatura. Più volte nel film lo vediamo pregare: è il suo dialogo con Dio che diventa più sofferente con il procedere della storia. Volevo che quella prima scena fosse reale: è il momento in cui lo spettatore ha accesso al mondo di quest'uomo. Uno che non ha fiducia nella società. Un essere umano totalmente individualista. Ho aperto il film così perché era importante vedere come stabiliva un legame con il figlio.

Hugh Jackman è conosciuto soprattutto per i suoi ruoli positivi. Da dove le è venuto dunque l'istinto di affidargli un ruolo così tetro?
Era necessario averlo nel film. Hugh è un attore che trasuda amore tutte le volte che lo vediamo sullo schermo. Dunque avevo bisogno di lui perché volevo portare lo spettatore il più vicino possibile all'intimità del personaggio. Solo in quel momento chi sta a guardare è pronto ad andare insieme a lui verso l'oscurità.



Quanto si è sforzato in cabina di regia per spingere il suo protagonista verso una dimensione inedita rispetto ai suoi personaggi?
Quasi nulla. Ho capito una cosa: Hugh Jackman è l'attore più preparato con cui abbia mai lavorato. Il più disciplinato e preciso. Un uomo privo di ego. Non sono stato io a guidarlo, forse sarebbe più giusto dire che è stato lui ad accompagnare me nelle tenebre.

In una sequenza di Prisoners lo spettatore ha accesso alla cantina del protagonista. Lì scopriamo che il personaggio di Jackman è preparato a ogni eventualità. Perfino per la guerra atomica. Quanto è veritiera questa sequenza? Ha scoperto cantine simili nel corso dei suoi sopralluoghi negli USA?
Ci sono posti così. La mancanza di fiducia verso le istituzioni esiste ancora nell'America del Nord. Non solo negli USA comunque. Anche io mi ricordo i rifugi anti-atomici in Canada quando ero un ragazzino. Comunque sì, abbiamo fatto ricerche: le persone hanno armi da fuoco e viveri e sono pronte a qualunque evenienza.

Quindi nel suo viaggio dal Canada agli USA, come ha trovato gli americani. Può dire che sono un popolo unito? Qual è stata la sua percezione?
È una domanda enorme. Non saprei da dove cominciare. Non conosco bene l'America, eccetto la parte Est e la California. Però in Prisoners ho voluto trattare quello che è ancora possibile notare: la tensione scaturita dalla libertà individuale contro la forza delle istituzioni. Perché soprattutto quando gli americani vengono attaccati, a quel punto rimangono uniti. D'altra parte la nozione di individualità è parte delle loro fondamenta. E' stata celebrata sin dalla creazione degli Stati Uniti ed è ancora viva.

Prisoners è distribuito dalla Warner Bros.

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