Leggete la nostra recensione de “La mia vita è uno zoo”.
Il corpo massiccio e lo sguardo vagamente burbero non lascerebbero mai presagire quanto Thomas Haden Church sia invece una persona assolutamente cordiale, entusiasta di parlare del suo lavoro e soprattutto disposta a farlo con la massima sincerità. L’occasione per scambiare quattro chiacchiere è arrivata grazie a “La mia vita è uno zoo”, ritorno dietro la macchina da presa di Cameron Crowe a sette anni dal discusso “Elizabethtown”.
Come è arrivato a recitare in questo film?
Ci tenevo moltissimo a partecipare a “La mia vita è uno zoo”, soprattutto dopo aver conosciuto Cameron Crowe e aver fatto il provino per lui. E’ del genere di registi che preferisco, quelli che credono in un progetto e ci mettono dentro tutto quello che anno. Cameron ha vissuto sulla propria pelle ogni secondo della lavorazione di questo film: all’inizio era molto nervoso perché veniva dall’insuccesso di “Elizabethtown”, film in cui credeva moltissimo. Penso che il molto tempo senza dirigere sia dovuto alla frustrazione per quel flop, che in qualche modo era un’opera assolutamente personale. Man mano che le riprese sono andate avanti però Cameron ha capito che si trovava a lavorare con un gruppo di persone aperto alle sue idee e assolutamente collaborativo, così pian piano procedendo coi giorni sul set siamo diventati una grande famiglia, affiatata come quella che i personaggi costruiscono nel film.
C’è un messaggio particolare che il film di Crowe farà arrivare al pubblico?
Il messaggio de “La mia vita è uno zoo” è tanto semplice quanto fondamentale: c’è sempre una seconda opportunità nella vita, anche quando le avversità più grandi ti mettono a tappeto. Però non bisogna aspettare che la nuova chance ti cada tra le braccia, si deve avere la forza e l’apertura d’animo per riconoscerla e andarle incontro. Penso che sia un tema ricorrente nella carriera di Cameron Crowe. Le circostanze favorevoli sono niente se non si possiede l’ottimismo e la volontà per sfruttarle.
La lavorazione del film ha presentato qualche difficoltà?
Non ci sono state scene difficili, solo alcune molto emozionanti, che hanno rivelato il cuore di tutti coloro che vi hanno partecipato. Il duetto iniziale per strada tra me e Matt Damon, mio fratello nel film, in cui lo esorto a darsi una scossa e ricominciare a vivere, è un momento semplicissimo ma carico di sentimenti. Dopo averlo recitato sia io che Matt ci siamo sentiti molto più legati ai nostri ruoli.
Come descriverebbe il suo collega Matt Damon?
Matt è l’anti-star per eccellenza. Nonostante sia uno degli attori più conosciuti al mondo rimane un uomo di un’onestà umana e intellettuale incredibile. Sul set era disposto ad ascoltare la voce di ognuno, e sempre disponibile ad aiutare. Ricordo una volta in cui mi sono avvicinato per parlare con lui senza accorgermi che era al telefono con la moglie e i figli: ha interrotto la conversazione per ascoltare cosa avevo da chiedergli! E’ un professionista che non mette mai il proprio lavoro davanti al bagaglio umano che porta con sé, e vive ogni esperienza come un momento proficuo per imparare altre cose utili per fare al meglio ciò per cui viene pagato. La sua predisposizione a migliorarsi è incredibile, visto soprattutto lo stato di star internazionale che possiede. Ho lavorato davvero con pochi colleghi disposti così tanto a mettersi in discussione per perfezionarsi.
E invece cosa può dirci di Scarlett Johansson?
Con lei ho avuto molta meno interazione, abbiamo recitato insieme solo in scene corali, però ne ho apprezzato molto la lucidità nel capire il personaggio di Kelly, una ragazza che ha inconsciamente sacrificato molto della sua vita per il lavoro. Un personaggio più sommesso, non facile da interpretare per un’attrice considerata universalmente un sex-symbol. Credo che Scarlett sia rimasta un po’ intrappolata in questo stereotipo, ha talento e una personalità sensibile, a mio avviso merita molta più considerazione come attrice di quanta ne ha adesso.
Parliamo adesso più in generale della sua carriera. Lei ha recitato in “Sideways”, uno dei miei film preferiti in assoluto. Cosa ricorda di quell’esperienza?
Non credo sia un’esagerazione affermare che a “Sideways” e ad Alexander Payne devo tutto a livello professionale. Avevo già fatto parecchia gavetta prima di quel film, ma francamente ero rimasto un “signor nessuno”. Essere protagonista di un lungometraggio così denso e lavorare insieme a colleghi talentuosi del calibro di Paul Giamatti e Virginia Madsen mi ha fatto capire veramente quanto ci si deve impegnare in questo lavoro. Alexander da noi tutti esigeva una comprensione del ruolo che nessun altro in precedenza aveva mai voluto da me in particolare. Ho dovuto lavorare moltissimo per dargli ciò che chiedeva, ma il risultato è stato straordinario. Dopo il successo al botteghino e la nomination all’Oscar mi si sono aperte moltissime porte ad Hollywood: ad esempio è arrivato “Spider-Man 3”, con cui ho guadagnato abbastanza da poter poi girare i film che volevo senza preoccuparmi del conto in banca per un bel po’. Ecco, “Sideways” e “La mia vita è uno zoo” rappresentano il tipo di cinema introspettivo e umano che vorrei sempre fare.
Allo scorso Festival di Toronto ho avuto occasione di vedere “Killer Joe” di William Friedkin, commedia nera che ho amato parecchio. Che mi racconta di questo film?
Mi fa molto piacere ti sia piaciuto, lo trovo uno dei migliori film che ho fatto negli ultimi anni, anzi forse in assoluto. Pensa che ci sono arrivato proprio grazie a “Sideways”. La moglie di William Friedkin, la produttrice Sherry Lansing, gli ha fatto vedere il film in DVD e lui se ne è innamorato. Mi ha dichiarato di averlo visto almeno venticinque volte insieme alla moglie. Quando “Killer Joe” è entrato in pre-produzione, per il ruolo di Ansel ha subito pensato a me. E’ stata un’esperienza differente dalle altre, è un film che ti costringe a prendere delle posizioni sui fatti e sui personaggi che racconta, è un pugno allo stomaco mollato con una classe e una volontà di corrodere il perbenismo americano che davvero mi ha entusiasmato.
“La mia vita è uno zoo”, in uscita l'8 giugno, è distribuito in Italia da 20th Century Fox.
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13.07.2012 - Autore: Adriano Ercolani, da New York