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The Farewell: "Un film che vi commuoverà anche se i personaggi non somigliano a Brad Pitt"

Parla Lulu Wang, regista di uno dei film più potenti nei cinema in questi ultimi giorni dell'anno

25.12.2019 - Autore: Pierpaolo Festa
The Farewell - Una bugia buona è uno dei film più potenti arrivati nelle sale in questi ultimi giorni del 2019. La storia di Billi, ragazza cinese cresciuta a New York che torna in Cina con la sua famiglia per dare l'ultimo addio alla nonna, malata terminale di cancro. La famiglia ha deciso di non rivelare a quest'ultima la sua condizione, ma Billi è combattuta e dovrà scendere a patti con la sua cultura d'origine per capire la ragione di questa "bugia buona".

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La regista Lulu Wang ha più volte citato le commedie drammatiche di Mike Leigh come fonte di ispirazione principale, e dunque un modo di fare "cinema di famiglia" non convenzionale e tutt’altro che rassicurante. Quando Film.it la incontra, Wang alza la posta in gioco e da Leigh passa agli horror: “Ho pensato molto a come presentare la paura nel film. Dopotutto, quello che vediamo non è la verità: questa famiglia sta recitando per il bene della nonna. Il più delle volte si tratta di ottime performance. Il pubblico li vede ridere e mangiare insieme, ma c’è sempre quel senso di paura in sottofondo. La paura che qualsiasi cosa possa accadere da un momento all’altro. Come se nessuno fosse al sicuro. Quindi ho guardato i film di Mike Leigh, ma anche altri film di genere: horror e thriller. Molti di questi fanno benissimo una cosa: montare un senso di paura”.

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In che modo esattamente si è rifatta all’horror?
Parlavo con il mio direttore della fotografia, cercando di capire quali fossero i movimenti di macchina da presa tipici dei film horror. Credevo che avrebbero funzionato nel nostro film. Gli horror sono spesso basati sulla creazione di un’atmosfera di disturbo. Quella sensazione di un mostro che può uscire allo scoperto da un momento all’altro. Abbiamo optato per inquadrature larghe, perfette per una mancanza di sicurezza, valida sia per i personaggi che per il pubblico. A volte evitavamo i primi piani e lasciavano l’inquadratura aperta. Un qualcosa che era perfetto per comunicare isolamento. E il non sentirsi al sicuro. 


 
The Farewell è un film commovente. Va bene farsi un bel pianto dopo la visione?
(sorride) Questo è il più grande complimento che uno spettatore possa fare a un regista. L'aver sentito veramente determinate emozioni. Ho cercato di essere autentica nell’esplorazione dei sentimenti: questo film non vi manipola. Girarlo è stato come vivere finalmente quella catarsi che non ho mai provato nella vita. Ogni volta che lo vedo con amici o al cinema con il pubblico, gli spettatori soffrono insieme a me. Ed è una cosa bellissima. 
 
A tal proposito, il film è basato su una storia vera: quella della sua famiglia. In che modo è riuscita a distaccarsi dagli eventi personali per raccontare una storia cinematografica?
Ho capito subito che avrei dovuto trovare equilibrio tra la mia responsabilità verso questo mestiere - e cioè raccontare la verità - e allo stesso tempo mantenere il rispetto verso la mia famiglia. A volte fare entrambe le cose può essere difficile, a volte non puoi essere onesto e avere rispetto contemporaneamente. Allora a un certo punto mi sono detta: “questi personaggi non sono la mia famiglia”. Cosa c’è bisogno di raccontare veramente? Ho dovuto distaccarmi: sapevo che era una storia personale, ma ho dovuto capire anche che non lo era. 

È un film americano ambientato in Cina e recitato anche in cinese. Penso al limbo che ha dovuto attraversare mentre cercava di trovare il budget per girarlo. 
Quando proponevo il film molti produttori mi dicevano: “è una bella storia, ma qual è il tuo pubblico principale? È un film americano? È un film cinese? Chi verrà a vederlo?”. Pensavano in primis al pubblico e non alla storia. 


Lei cosa rispondeva? 
Dicevo anche a me stessa: “Forse verranno a vederlo tutti, no?”. È un film che parla di una famiglia. Non importa che aspetto hanno questi personaggi, o che lingua parlano. Quindi è stato molto difficile trovare il budget. Ma poi ho partecipato a uno show alla radio in cui ho parlato di queste mie storie personali che volevo raccontare in un film. A quel punto i produttori mi hanno ascoltata e mi hanno detto che volevano finanziarlo. Improvvisamente ero in grado di dettare le condizioni con cui avrei fatto il film: avrei scelto io gli attori, e la lingua con cui avrebbero parlato. Ci sono riuscita. 

Può dunque The Farewell servire da esempio? 
Spero che il successo di questo film guidi l’industria a produrre altrettante storie come questa, ed evitare quella paura dei sottotitoli, o di avere come protagonisti persone che non somigliano a Brad Pitt. C’è tanta voglia di storie vere. Ce n’è bisogno. Non voglio parlare di politica, ma credo che oggi i media si siano soprattutto trasformati in entertainment. Quindi c’è bisogno di trovare la verità nell’arte. 

The Farewell è distribuito nei cinema da BIM.