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Marco D'Amore: “Arrivederci Gomorra, sei stata un privilegio”

Intervista esclusiva al protagonista della serie cult: “Vi racconto la luce di Scampia”

Marco D'Amore

10.06.2014 - Autore: Pierpaolo Festa
Il miglior modo per fare i complimenti a Marco D'Amore per il suo Ciro Di Marzio, detto “l'highlandér” (pronunciato alla napoletana) è quello di dirgli la verità. È così che quando lo contattiamo per parlare del gran finale di Gomorra – La serie gli diciamo: “Sei stato così bravo che più volte nel corso degli ultimi due episodi ti abbiamo riempito di parolacce”. D'Amore si fa una piccola risata dal retrogusto amaro, non è certo la prima volta che una cosa del genere gli viene detta: “Ero sul set per girare la scena in cui Ciro fredda il tossico all'interno delle Vele con Genny. Abbiamo girato quel piano sequenza una sola volta, quando ho sparato al personaggio, l'operatore ha messo giù la macchina da presa dicendo: 'Marco guarda, mi hai fatto cagare sotto. Se ti incontrassi per strada scapperei'”.

Dall'altra parte del telefono la voce è proprio quella del suo Ciro, allo stesso tempo c'è qualcosa di diverso nel suo timbro, il suono di una persona istruita con un tono così gentile che si fa difficoltà ad associarlo al personaggio: “Sono grato a Ciro. Con lui ho fatto un percorso di quasi due anni camminandogli al fianco. Non mi sono mai messo né davanti per fare uscire me, né dall'alto per guardarlo e giudicarlo. L'ho amato e compreso, schifato e rigettato. Ora io e lui ci dividiamo: io per una strada, lui per un'altra. Non so se ci ritroveremo. Mi ha dato tanto come attore, mi ha insegnato tanto come uomo, perché mi ha fatto conoscere dinamiche che era doveroso conoscere”.



Ciro viene definito l'immortale. Nell'era dei supereroi al cinema pensavo piuttosto a un personaggio come L'incredibile Hulk, uno dall'aspetto umano in grado di tirare fuori il suo lato mostruoso nel giro di pochi secondi. Regge questo paragone secondo te?
(ride) È un gran bel paragone anche perché io adoro i supereroi! E' vero che ho pensato tantissimo al discorso di David Carradine in Kill Bill di Tarantino: Ciro è come Superman, si deve travestire in mezzo agli altri, deve mettersi una maschera per non uscire fuori nella sua vera natura.

Dunque Superman e Hulk, vorrei chiederti quanto tempo ti serve per tirare fuori questo lato mostruoso sul set...
Sai, al di là del lavoro fisico che è stato pesante (Stefano Sollima gli ha infatti chiesto di perdere più di venti chili e cambiare totalmente look, N.D.R.) io non ho una predilezione per la formazione “americana”: non è che per interpretare un camorrista devo vivere come uno di loro. Amo pensare al mio lavoro come a quello dell'archeologo, tiri fuori un reperto, un qualcosa che esiste già. Piano piano togli la polvere per farne uscire i colori e riportarlo al suo vero stato naturale. E poi lo condividi con gli altri, in questo caso i compagni di troupe e il regista.

A proposito di condividerlo: Gomorra è diretto da tre registi (Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupellini), è mai arrivato un momento tra un cambio di regia e l'altro in cui rivolgendoti a loro hai detto: “Fermi tutti, adesso vi spiego io come è il personaggio”?
L'ho fatto soprattutto con Claudio Cupellini, con cui praticamente siamo fratelli. La cosa bella è che erano proprio i registi a chiedere sessioni di incontro con noi attori prima di girare, anche perché ci siamo ritrovati da un set all'altro anche nello stesso giorno. Claudio ha cominciato a girare mentre noi eravamo al quarto mese di set con Stefano: sono stato io a raccontargli il personaggio in un confronto continuo in cui ci muovevamo su un crinale tra le sue scelte di regia e le informazioni che gli passavo su Ciro. I registi avevano un senso comune della storia, ma uno sguardo personale su narrazione e personaggi.



Dunque sai individuare un tratto in particolare per ogni regista?
Con Stefano Sollima abbiamo lavorato tantissimo sul lato drammatico di Ciro. Claudio Cupellini, che è un regista di dettaglio e particolari, mi ha chiesto tantissimo di lavorare su quello che Ciro non dice, su quello che nasconde: ha puntato tantissimo sullo sguardo del personaggio. Francesca Comencini, che come tutte le donne ha uno sguardo umorale e ricco, mi ha chiesto di improvvisare: aveva bisogno di una necessità immediata. Quindi immagina che ricchezza di lavoro che ci è stato dato, forse è questo il privilegio più grande.

Il lato mostruoso di Ciro è un qualcosa che è venuto fuori soprattutto negli ultimi episodi che sono un vero pugno allo stomaco. Poco fa dicevi: “L'ho amato e lo ho anche schifato”. Puoi dirmi di più su quei momenti in cui ti è servita una pausa per riprenderti dalle azioni del personaggio?
Poco fa ti parlavo della scena in cui uccido il tossico alle Vele: quella è stata molto pesante per me.  Ti dico la sincera verità, era la prima volta che sparavo nei panni del personaggio e mi sono sentito “sverginato con durezza”. Detto questo, sia per educazione familiare sia per educazione teatrale, sono uno che non giudica a priori e non taglia con l'accetta il mondo tra i buoni e i cattivi. Sono della filosofia di Faber “poco merito nella virtù e poca colpa nell'errore”. C'era una bellissima biografia del mio Ciro che purtroppo è stata tagliata, dove si racconta di quando perse i genitori a tre anni durante il terremoto dell'Ottanta, finendo in orfanotrofio. Da giovane commette il suo primo crimine e inizia un'infanzia difficile. È un bambino abbandonato a se stesso. L'unico con cui sviluppa un rapporto familiare è Attilio, una figura paterna che perde nella prima puntata della serie. Da quel momento qualcosa si spezza per sempre in Ciro: ecco, umanamente mi sono sentito vicino a lui in quella perdita.

Scampia è certamente un posto infernale, ti è mai capitato di coglierne comunque un lato luminoso?
Ci sono dei bagliori continui. Questo a dimostrazione che la gente ha un'umanità talmente accesa e viva, nonostante si trovi all'inferno. Perché è proprio così. Abbiamo fatto nove mesi di set e siamo entrati nelle case delle famiglie, parlando con le persone. Mi ha colpito la bellezza dei bambini, la loro intelligenza e la vitalità. Dunque la speranza è che certi amministratori, che si nascondono dietro polemiche sterili, si preoccuperanno di più delle cose importanti, non di farsi pubblicità criticando una serie che non hanno neanche visto. Che vadano da quelle persone e restituiscano loro una vita normale, un campo di calcetto per i ragazzini e delle abitazioni vivibili e a misura d'uomo.



E in quanto al pubblico invece? Cosa speri che gli spettatori di Gomorra si portino a casa come ricordo di Ciro in occasione del gran finale?
Mi auguro che le persone che guardano Gomorra riescano a capire che questo racconto è il paradigma di una situazione globale dietro la quale non ci si può più nascondere e non si può più far finta che non ci sia. Questo racconto del male è l'esplorazione di un'organizzazione criminale che si fa sistema ed è nella vita di tutti i giorni di tutti noi. Solo attraverso la conoscenza noi possiamo, da cittadini, cercare di combattere questo male. Mi piace pensare che viviamo ancora in un sistema democratico, quindi l'augurio è che ci sia sempre la necessità di combattere queste organizzazioni.

Marco, alla fine di ogni intervista faccio sempre la domanda tradizionale di Film.it: qual era il poster che avevi in camera da ragazzino?
Ne avevo due: uno del mitico Diego. L'altro è il sorriso di Bob De Niro nell'ultimo frame di C'era una volta in America. Quel film ha sempre rappresentato il sogno del cinema per me: è il mio film del cuore.

Il gran finale di Gomorra, episodi 11 e 12, andrà in onda stasera 10 giugno dalle 21.10 su Sky Atlantic HD e su Sky Cinema 1 HD. La serie è disponibile anche su Sky On Demand e su Sky Go. E' stato appena rivelato che ci sarà una seconda stagione, attualmente in fase di scrittura. Gli ultimi due episodi della serie sono stati seguiti da una media spettatori pari a 750mila.