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John Carpenter si racconta a Cannes: "Dario Argento mi ha insegnato a essere un regista libero"

Il maestro dell'horror premiato alla carriera alla Quinzaine des Réalisateurs: "Nella mia carriera ho sempre combattuto contro i produttori"

16.05.2019 - Autore: Pierpaolo Festa, nostro inviato al Festival di Cannes
Un cowboy di 71 anni. Questa è la prima immagine che viene in mente quando guardiamo John Carpenter farsi strada verso il palco della Quinzaine des Réalisateurs, camminando al rallenty come John Wayne. Un'immagine che si è cucita addosso per tutta la vita, da quando a dieci anni vide al cinema Un dollaro d'onore, il western di Howard Hawks che lo ha folgorato e che ha sempre cercato di rifare in ogni horror che ha girato (da Distretto 13 a Fantasmi da marte). 

La Quinzaine, sezione parallela del 72simo Festival di Cannes, lo premia quest'anno con il Carrosse d’or alla carriera, proiettando sul grande schermo uno dei suoi classici: La cosa. Visto al cinema 35 anni dopo, quel film è ancora oggi un’esperienza potentissima: “Nel 1982 La cosa è stato un totale flop al botteghino. Lo hanno detestato ovunque – dichiara Carpenter - Oggi ho scelto di farlo proiettare a Cannes. Finalmente sento di essermi vendicato”.  

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Il lessico del regista torna a ripetersi più volte nel corso dell’incontro che tiene con il pubblico: uno dei suoi verbi preferiti è “combattere”. “E’ quello che ho sempre fatto nella mia carriera. Gli studios non volevano darmi controllo totale sui film e io gli facevo la guerra”. E cita Dario Argento come fonte di ispirazione per la sua libertà creativa: “Dario è un amico e un pioniere. La prima volta che ho visto Inferno ho pensato: ‘Ecco un regista libero. Uno che può fare quel che gli pare. Perché non posso farlo anche io?’. Qualche anno dopo ho girato Il signore del male, che più di tutti simboleggia la mia poca pazienza nei confronti di chi voleva controllare i miei film”.
 
Inizialmente il rapporto con gli studios era proprio quello che il giovane Carpenter desiderava più di ogni altra cosa: “avevo vent'anni e sognavo di diventare un regista professionista e guadagnarmi da vivere con questo lavoro. Gli studios erano tutto quello che volevo". L'horror Halloween ha fatto spiccare il volo alla sua carriera. Era il 1978 e il film viveva una seconda vita dopo essere stato distrutto dai critici in giro per l’America: “Non avrei mai immaginato il successo di Halloween. È uscito prima a Los Angeles e poi la stessa copia è andata in giro per gli USA. In ogni città lo distruggevano. Scrivevano: ‘E’ un film terribile!' o 'Carpenter non sa dirigere gli attori’. A quel punto ho pensato: 'ecco un altro flop'. Poi qualcuno lo ha recensito positivamente a New York e le cose sono cambiate. Il film è rinato. Ricordo ancora che il direttore di uno studio mi invitò a colazione: d’un tratto ero la loro gallina dalle uova d’oro. È stato un gran bel momento”.


 
Sono passati quarantuno anni dal primo Halloween e gli studios hanno dimenticato Carpenter. O forse sono solo stanchi di combattere contro di lui: “Sono un outsider – continua il regista cowboy - non sono a mio agio nel mondo di Hollywood. Alla scuola di cinema mi hanno insegnato che dovevo combattere per mantenere la mia visione artistica. Ho passato la mia vita a combattere. Gli studios non capivano la mia insistenza, ma la mia filosofia è sempre stata: ‘questo è il mio film, non dovete toccarlo!’. Tutte le volte è stata durissima”. Una delle sue prime battaglie l'ha combattuta trovando un modo nuovo per spaventare il grande pubblico: “C’è una regola a Hollywood nata con il film Il bruto e la bella: se fai un horror i mostri devono restare all’oscuro. Io ho fatto quello che nessuno si aspettava e sul set de La cosa ho chiesto alla troupe: ‘Portiamo questo mostro alla luce, facciamolo vedere a tutti’. Sentire le urla del pubblico in sala è stata sempre la cosa più importante per me”.
 
C'è però un lato inedito che il maestro dell’horror ha mostrato soltato una volta: “Ero un regista duro e improvvisamente è arrivata questa commedia romantica intitolata Starman. Ho capito che non avrei avuto una seconda occasione di fare un film così diverso dai miei soliti lavori. Ne sono orgoglioso. Quel film ha mostrato il lato piu romantico di John Carpenter, quello che ho sempre nascosto a tutti”. 



A nove anni dal suo ultimo film (il thriller psicologico The Ward) Carpenter rimane un outsider. E da spettatore non si reca nemmeno in una sala cinematografica: “Guardo i nuovi film in DVD. L'Academy li spedisce a casa mia. Non vado più in sala. Negli USA l’esperienza della sala cinematografica può essere tutt'altro che piacevole: telefoni accesi, persone che parlano tanto e per tutta la durata del film. Non voglio litigarci. Non voglio nemmeno pensare a cosa succederebbe se reagissi contro chi mi disturba in sala”.