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Io, Daniel Blake, intervista a Ken Loach: "Il cinema ha ancora bisogno di registi vecchi"

A tu per tu con il maestro del cinema sociale britannico che ci presenta il suo nuovo grande film

19.10.2016 - Autore: Pierpaolo Festa (Nexta)
"Vi spiego perché c'è bisogno anche di registi vecchi" - comincia così la chiacchierata tra Film.it e Ken Loach, il cui ultimo straordinario film - Io, Daniel Blake, trionfatore al Festival di Cannes con la Palma d'oro - arriva finalmente sugli schermi italiani.  
 
"I registi degli anni Sessanta sono cresciuti dopo la guerra e hanno assorbito uno spirito che li spingeva a migliorare le cose - continua Loach - Loro vivevano in un mondo social-democratico che trasmetteva l'unità. Oggi è cambiato tutto: i registi cresciuti negli anni Ottanta e Novanta sono stati invece travolti dallo spirito di 'ognuno per sé e Dio per tutti'. Ed è molto difficile per loro passare a un senso di unità. Ecco perché forse c'è ancora bisogno di vecchi come me dietro la macchina da presa!". (lo dice sorridendo come se fosse una battuta, N.D.R.).

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Il maestro del cinema sociale e impegnato made in Britain, lo stesso uomo che ha realizzato nel corso di cinque decenni capolavori come Kes, Riff Raff e Il mio amico Eric - ha compiuto ottant'anni lo scorso giugno. Il suo nuovo film, però, sembra girato con la forza e la rabbia di un autore giovane. Un sentimento di collera che Loach vuole passare al suo spettatore nel momento in cui ci mostra il calvario burocratico del suo nuovo protagonista, un lavoratore che dopo essere stato colpito da un infarto non riesce a ottenere il sussidio statale. "Il mio è solo un film. Non faccio politica. Tutto quello che vogliamo è che gli spettatori escano dal cinema ponendosi alcune domande, in preda a un senso di rabbia che potrebbe guidarli a condividere il problema".
 
Due anni fa lei stesso ha dichiarato che si sarebbe ritirato e che Jimmy's Hall sarebbe stato il suo ultimo film...
Ed è stata una cosa stupida da dire. Perché poco dopo il mio socio, Paul Laverty, sceneggiatore di tanti miei film, mi ha chiamato al telefono proponendomi un'altra storia. Improvvisamente ero al lavoro su Io, Daniel Blake. Non ho idea di quanto continuerò, perché la cosa più difficile di questa professione è il periodo di riprese: quei giorni in cui la sveglia suona alle sei del mattino. Se sopravvivi a quelli, allora puoi fare tutto!
 
Come mai è tornato ad alzare di qualche tacca il suo livello di "cineasta arrabbiato"?
Perché non puoi fare finta di niente quando vedi quello che il mio paese sta facendo a persone come Daniel Blake. Noi tutti glielo stiamo facendo. E' un senso di sdegno quello che si prova. Quella di Daniel è una situazione che abbiamo visto più volte mentre andavamo in giro per diverse città inglesi durante la preparazione del film: in ogni location c'era sempre una "banca del cibo" per i poveri che non possono permettersi nemmeno di comprare una scatoletta di tonno. Tutte le città inglesi hanno tantissimi spaccati di vita disperata. Le statistiche parlano chiaro: negli ultimi quattro anni ci sono stati dai due ai tre milioni di persone che sono praticamente alla fame. Non se ne parla più di tanto, anzi, non se ne parla affatto! Sai anche cos'è la cosa che mi colpisce? Vedi una banca del cibo e ti sorprende, ma ventiquattro ore dopo le persone ci fanno già l'abitudine. 


 
Girare un film sull'inefficienza della burocrazia sembra facile come concetto, ma trasformarlo in immagini sembra quasi impossibile. Come avete fatto a mantenere un senso cinematografico in questa storia?
Se ci pensi la traiettoria di Daniel Blake è molto rapida. Abbiamo individuato dei punti principali: quando parliamo di malfunzionamento della burocrazia, ci facciamo spesso una risata come prima reazione. Poi però siamo veramente frustrati. Poi, se la cosa continua, si arriva alla disperazione. E in alcuni casi la disperazione può portarti anche alla distruzione. Quando stavamo creando i protagonisti di questa storia, avevamo una certezza: non volevamo personaggi che dessero subito l'impressione di essere vittime. Il nostro protagonista è un brav'uomo. Una persona positiva. Un professionista nel suo lavoro, stimato dai suoi colleghi. Uno intelligente. Ma anche lui precipita. L'altra protagonista è una ragazza piena di energia: una che vorrebbe finire gli studi. Un altro personaggio luminoso. Perché mai dovrebbero finire in questo modo? Mi interessava raccontare questo. E non è una storia inventata: facendo ricerche per il film ho scoperto storie perfino più tristi di quella che raccontiamo. 
 
Come mai scegliere un comico come protagonista? 
Amo i comici perché spesso sono parte della working class. Tanta commedia viene dalla resistenza, dalla povertà. Il nostro attore, Dave Johns, è un comico spassoso, ma ci sono anche tante coincidenze interessanti: ha l'età giusta per il ruolo e suo padre, come lui nel film, era un falegname. Quindi Dave conosce il contesto sociale che raccontiamo e come se non bastasse vive proprio nelle strade in cui abbiamo girato il film. Tutto torna, alla fine.
 
Da una parte dunque il suo film suscita la collera dello spettatore, dall'altra però c'è il rischio che chi lo guarda possa provare quella sensazione di sconfitta. Una cosa che porta a pensare che tanto non vale la pena combattere... 
Questa è la questione. La burocrazia non è efficiente, ma non è un caso. C'è uno scopo. Non funziona perché vuole dimostrare alle persone che la povertà è colpa loro. Vuole umiliarle. Questa sensazione viene caricata ancora di più dai media: in TV, ad esempio, ci sono tanti programmi che prendono in giro le persone. "Lei è grassa, loro hanno troppi figli...". Questo fenomeno si chiama "poverty porn" ed è un nuovo genere televisivo incentrato sull'umiliazione delle persone. Se danno la colpa alla gente, vuol dire che non la danno ai veri responsabili: le grandi corporazioni che hanno bisogno di risparmiare su forza lavoro e tasse. Questo è il nuovo 'Programma liberale': guida le persone verso la frustrazione e gli toglierai anche la voglia di combattere. E' così che le persone si ritrovano con pochi soldi per vivere, pochissimo lavoro ogni settimana, e ormai gli va bene così. 


KEN LOACH VINCE LA PALMA D'ORO ALL'ULTIMO FESTIVAL DI CANNES
 
Quanto Ken Loach si sente come Don Chisciotte? Ha mai cambiato le cose e vinto battaglie con il suo cinema?
Sono solo uno che fa film. Tutto qui. E in un certo senso sì, mi sento così davanti al corso del capitalismo. E' una cosa che continua da anni e anni, da quando Margaret Thatcher è stata eletta e ha condotto la campagna neo-liberale. Oggi viviamo la conseguenza logica di quel periodo. Abbiamo avuto milioni di disoccupati da quando c'era lei al potere. Blair ha continuavo l'operato della Thatcher. Come fare a combatterli? Il problema è che anche quelli di sinistra sono stati sempre frammentati: nel mio paese ci sono brave persone che vogliono difendere i più deboli e i loro diritti e che vogliono migliorare il sistema. Ma sono soli. Se fossero uniti allora potremmo parlare di una vera battaglia che si può vincere. 
 
Abbiamo iniziato scherzando sul bisogno di avere registi vecchi. Credo però che il suo pubblico si rinnovi di volta in volta. E che i cinema in cui proiettano i suoi film trovino continuamente un'audience giovane...
Loro sono fantastici, ma non si tratta solo degli spettatori: se pensi a movimenti come Occupy o UK Uncut, questi rappresentano la forza dei giovani. I vecchi si sono abituati ad accettare la loro condizione, ma i giovani pensano che non possono più continuare così. E questo è un bene ed è un ottimo inizio.  


Io, Daniel Blake arriva in sala dal 20 ottobre, distribuito da Cinema di Valerio De Paolis
 
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