“Al cinema ci aspettiamo che i buoni sopravvivano e i cattivi muoiano. Ma la vita reale non è così: la vita è ingiusta. Volevo che il mio film fosse proprio questo”. A parlare è Baltasar Kormakur, regista di Everest che abbiamo incontrato a Venezia, in occasione della presentazione del kolossal Universal ispirato ai tragici eventi che, nel 1996, costarono la vita alla guida Rob Hall e altri membri della sua spedizione sulla vetta più alta del mondo. Islandese, Kormakur ci ha parlato del suo rapporto con la natura e di come l'aver camminato ogni giorno attraverso una tempesta di neve per andare a scuola abbia influenzato il suo punto di vista nel dirigere il film. Ecco la nostra intervista.
Cosa ha fatto di te la persona giusta per questo film?
Beh, sono nato al freddo. Ogni giorno andavo a scuola su per una collina e attraverso una tempesta. L'Islanda ha uno dei climi più spietati al mondo, è cosparsa di vulcani e il terreno è durissimo. Lo so perché ogni anno la attraverso con i miei cavalli ed è un'esperienza bellissima, mi ridà energia e mi ripulisce da tutte le idiozie dello star system.
Una scena di Everest.
Reinhold Messner ha rilasciato un'intervista in cui ha criticato il film, sostenendo che non sia realistico. Cosa ne pensi?
E non aveva neanche visto il film! Dice che non è reale, ma qual è il punto? Alfonso Cuaron è forse andato nello spazio per girare Gravity? Il cinema è simulazione, tentiamo di ricreare la realtà senza uccidere nessuno o mettere gli attori e la troupe in pericolo. Io ho fatto del mio meglio per renderlo reale, più di quanto sia mai stato fatto nel cinema di finzione: abbiamo girato a -30° per sei settimane! Abbiamo scalato per davvero i monti, quindi dovevamo saper tenere la situazione sotto controllo e, nel caso, poter evacuare la gente. E lo abbiamo dovuto fare sul serio, un paio di volte, per il rischio di valanghe.
Qual è stata la situazione più estrema che avete vissuto?
Perdere un set sotto una valanga. E mentre giravamo, in una valle vicina sono morte delle persone per una valanga. Eravamo estremamente consapevoli del rischio. Ma io non metto la gente in pericolo per ottenere quello che voglio. Jake Gyllenhaal ha detto che c'è differenza tra soffrire e farsi male. Io li ho fatti soffrire, più di quanto qualsiasi regista sia disposto a fare. Non per ragioni sadistiche, ma perché volevo il realismo: non volevo che interpretassero il freddo, volevo che lo provassero davvero. Questo vale anche per lo script: non volevo aggiungere un cattivo inesistente alla storia. E poi sono andato in Nuova Zelanda a incontrare i sopravvissuti, ho ascoltato le registrazioni delle conversazioni tra Rob Hall e sua moglie e tra Rob e il campo base. Ho appreso dettagli incredibili che nessun libro sull'argomento ha mai riportato.
Sul set di Everest.
Parlaci dei ruoli femminili: Keira Knightley e Emily Watson hanno parti piccole ma importanti...
Non ci sono piccoli ruoli, ma piccoli attori. Avere un attore memorabile anche in una scena breve è importante, perché ti aiuta a riconoscere il personaggio all'istante. Ma mi servivano anche attori bravi, perché le scene al telefono sono le più commoventi del film. Con Keira siamo stati fortunati: abbiamo sparato alto e ci è andata bene. Nel caso di Emily, lei è il pubblico, ne incanala le emozioni. È un'attrice bravissima, ma è anche molto simile alla vera Helen Wilton: ha un che di materno ma allo stesso tempo è molto forte.
Quali sono state le tue principali influenze nel “cinema di montagna”?
La morte sospesa è un bel documentario. Cliffhanger mi piace molto, specialmente la scena iniziale, anche se è un po' invecchiata e non fa più così paura. North Face è interessante ma hanno voluto aggiungere la protagonista femminile, che nella realtà non c'era, e si sente. Nel mio caso non c'è niente di inventato, nessun dramma fasullo, nessun personaggio femminile aggiunto a forza per far colpo sulle donne.
Kormakur (penultimo a destra) contornato dal suo cast a Venezia.
Hai detto che avete raggiunto le location sull'Everest a piedi, portando con voi l'equipaggiamento. Perché era così importante girare davvero sull'Everest?
Perché volevo che gli attori capissero davvero come ci si sente a quelle altitudini, a quelle temperature. E poi era difficile ricostruire i villaggi locali in studio. Lo stesso in Val Senales, ho tentato di girare all'esterno il più possibile, pur sapendo che avrei dovuto ritoccare gli sfondi. Ed era importante che gli attori facessero tutto questo insieme, come nelle vere spedizioni. Ci sono stati anche momenti drammatici, alcuni se ne volevano andare... Volevo che tutto fosse autentico: avevamo sempre con noi trenta sherpa, ci hanno seguito anche a Cinecittà, dove hanno costruito il set del campo base personalmente, perché hanno le loro tecniche precise.
In uscita il 24 settembre, Everest è distribuito da Universal Pictures in 2D e 3D. Per saperne di più, leggete anche:
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10.09.2015 - Autore: Marco Triolo (Nexta)