Festiva del Cinema di Venezia 2015
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Intervista a Jake Gyllenhaal su Everest: "Un’avventura dentro e fuori dal set"

La star ci racconta la sua esperienza durante le riprese del kolossal Universal, della volta in cui si è congelato un orecchio e di come una telefonata sia più coinvolgente di ogni scalata alla vetta

Jake Gyllenhaal - Everest

10.09.2015 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
L’impresa estenuante dei protagonisti di Everest è qualcosa che nasce ovviamente dalla simulazione, dalla capacità del cinema di riprodurre la realtà con i trucchi e il montaggio. È l’elemento magico del cinema. Ogni tanto però esce un film le cui riprese sono state tanto un’avventura quanto quello che si vede sullo schermo: Everest è uno di questi. Ispirato alle tragiche vicende in cui persero la vita otto alpinisti nel 1996 e girato tra in vero Everest e la Val Senales, il film di Baltasar Kormakur è stata un’impresa: gli attori hanno davvero scalato, hanno dovuto attendere il ciak al gelo delle cime altoaltesine e nepalesi. “La promessa di avventura è quello che ci ha attirati come attori – ci racconta Jake Gyllenhaal, che nel film interpreta la guida montana Scott Fischer – Non capita spesso di lavorare all’aperto, alla mercé degli elementi. A me piace molto viaggiare e quindi la prospettiva era intrigante”. Ecco la nostra intervista alla star di Everest.


Jake Gyllenhaal in Everest

Qual è stato il momento più estremo della lavorazione di Everest, quello in cui hai avuto davvero paura per la tua incolumità?
Lavorare con questi attori è la cosa più estrema che abbia mai fatto. No, scherzo! Abbiamo girato spesso al freddo e a un certo punto il mio orecchio si è congelato. Avevo deciso di girare senza mai indossare protezioni per il viso e ho trascurato la cosa fino al momento in cui è diventata un problema…

Dopo le riprese è cambiato qualcosa nella tua attitudine verso la vita e la natura?
La cosa che ho imparato, specialmente vedendo il film per la prima volta qui al Festival, è che il cinema non potrà mai davvero riprodurre la realtà. Girarlo è stato fantastico, ci siamo divertiti un mondo e sulle Dolomiti vivevamo, mangiavamo e lavoravamo insieme. Ma in mezzo a tutto lo spettacolo, il momento più commovente è quella telefonata finale tra Jason [Clarke] e Keira [Knightley]. Il grande lavoro fatto da loro è quello che più si avvicina al reale.


Gyllenhaal con Emily Watson, Josh Brolin e il regista Baltasar Kormakur.

Ultimamente hai virato verso una ricerca fisica, con ruoli come quello di Everest o quelli in Lo sciacallo – Nightcrawler, per il quale hai dovuto dimagrire tantissimo e Southpaw (qui la recensione), dove invece hai messo su un fisico da pugile. Come mai questa scelta?
Ho semplicemente deciso che volevo dedicare più tempo ed energie alla preparazione dei ruoli, per arrivare alla perfezione. La recitazione è ancora oggi un “mestiere”, e io per anni ho trascurato questo aspetto. Un paio di anni fa ho deciso che volevo imparare il più possibile sul mestiere. Da una parte c’è il corpo, dall’altra la mente: nel caso di un pugile sei costretto a lavorare sul fisico, mentre in un ruolo come quello di Nightcrawler, non essendo io imponente fisicamente, dovevo esserlo verbalmente. Ci sono tante possibili strade. Io adoro raccontare le storie e cercherò sempre di trovare la mia strada per entrare in un personaggio. E poi si imparano un sacco di cose sul mondo, incontrando persone che fanno quei lavori per vivere. Questo fa sì che il tuo punto di vista sulle cose cambi. Inoltre amo creare, a voi sembrerà che abbiamo torturato noi stessi per questo film, ma per me è un atto creativo, non distruttivo.


Gyllenhaal con Jason Clarke sul set.

Hai parlato di come in Val Senales abbiate vissuto e lavorato insieme. Parlaci ancora di questo cameratismo…
Una cosa fondamentale è stata la presenza di un leader come Jason [Clarke]. Da attore non protagonista è bello potersi mettere nelle mani di un protagonista così intelligente, ricco di talento e preparato. Ti aiuta perché sai che non dovrai lavorare troppo per riempire i vuoti, ma dovrai invece reagire a quello che fa lui.

Recitare può essere stremante per la salute mentale. Come riesci ogni volta a lasciarti quel peso alle spalle?
Credo che sia più pericoloso per la mente non avere un mezzo per esprimersi, ecco perché per i bambini è così importante dedicarsi all’arte o allo sport da subito. Questa è la mia forma di espressione. E lo so che spesso si dice che la recitazione sia pericolosa per la sanità mentale, ma è proprio per questo che esiste il “mestiere”. La preparazione è essenziale, non puoi recitare senza conoscere te stesso. Per me è molto più dannoso prendere queste cose alla leggera.

In uscita il 24 settembre, Everest è distribuito in Italia da Universal.

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L'intervista a Josh Brolin
L'intervista al regista Baltasar Kormakur
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