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Il ragazzo invisibile 2, i dubbi su Eastwood e i social nel Salvatores pensiero al TFF34

Al Festival di Torino il 'Guest Director' napoletano spazia dal suo cinema a quello altrui nel presentare i 5 Pezzi Facili in programma

19.11.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
Dopo Paolo Virzì e Julian Temple, oggi tocca a Gabriele Salvatores presenziare al 34° Torino Film Festival in veste di Guest Director. Qualcosa di più di un ospite, vista la sua presenza in 'Cose che verranno' con Nirvana e considerati i trascorsi del regista napoletano da queste parti. Non ultimo l'esser stato invitato a presentare i propri "5 pezzi facili", ovvero - come dice lui - quelli che lo hanno spinto a fare il regista, "tra quelli che mi hanno impedito di fare l'avvocato", quando già "era tutto pronto: La mia stanza, la scrivania, persino la targhetta d'ottone col mio nome sulla porta dell'ufficio legale di mio padre". "Un regista che si muove tra spazi e suggestioni diverse, che rischia e osa temi e stili insoliti e, nello stesso tempo, non si sottrae al fascino della cultura popolare che, comunque, sottende il cinema", come lo definisce il Direttore del TFF Emanuela Martini, un artista che non teme di raccontare le proprie passioni, per il cinema e non solo, anche a rischio di sbilanciarsi su temi 'caldi' come Trump, Eastwood e i social network. Come ha fatto nella presentazione della 'sua' sezione...

"Cinque pezzi facili" (ma non semplici)", come leggiamo nella cartella stampa, sono i film che deve "ringraziare"… Ma li ama tutti allo stesso modo, o ha dei preferiti?
Direi Jules et Jim, per un fatto emozionale. Giusto oggi leggevo una splendida intervista a Truffaut che raccontava di aver scoperto il libro da cui ha tratto il film (l'omonimo romanzo autobiografico di Henri-Pierre Roché, ndr) mescolato tra dei libri di seconda mana e di esser rimasto subito colpito dal titolo più che della copertina… "Queste due J, - diceva, - cosi eleganti", lo avevano attratto… Per cui anche lui, di fatto, l'aveva scelto del tutto emozionalmente, addirittura per un suono. Dopo Jules e Jim, dal punto di vista cinematografico direi sicuramente Blow Up, per l'equilibrio straordinario e per le inquadrature. Non ce n'è una che non sia significante e significativa. Ma se gli altri possono essere considerati meno importanti a livello tecnico, per me sono stati ugualmente emozionanti.

Li vide in sala, tutti?
Quelli erano i miei tempi, per cui si. E questo fa sì che li ricordi in questo modo. Sono sempre stato uno strano spettatore, non particolarmente cinephile. Son sempre andato al cinema per cercare emozioni o indicazioni di vita. Da giovane è così, vai anche per innamorarti di un personaggio, per sognare di essere come lui, imitare come cammina, come si pettina. Ricordo che per molto tempo ho portato anche degli occhialini come quelli del protagonista di Fragole e sangue. Per me la scoperta del cinema d'autore, anche italiano, è avvenuta in un secondo momento. Il mio primo approccio è stato senza dubbio da spettatore, curioso.

E qual è la cosa che ricorda di più di Blow Up?
La partita a tennis senza la pallina sicuramente. È meravigliosa. Geniale. Allora si vedevano cose di questo tipo, non solo nella Swinging London, ma anche a milano. Lì però c'è una idea meravigliosa. Soprattutto quando, dopo un po' che lui li guarda giocare, sentiamo salire il rumore della pallina colpita, come a dire che l'immagine può far diventare reale anche ciò che non lo è. E questo è molto di più di una semplice partita a tennis senza palla, è una riflessione su cosa e vero e cosa no. D'altronde anche la stessa macchina fotografica, che dovrebbe registrare la realtà in maniera oggettiva, non è in grado di farlo. Anzi, più ti avvicini, più la foto si sgrana e più perde di senso. Ed è una ambiguità del cinema, il pensare che quello stai vedendo sia vero e insieme avere coscienza di sapere che è qualcosa di artefatto.

E gli altri?
If e Fragole e sangue sono due film che esprimevano bene l'epoca in cui son stati prodotti. IF l'ho rivisto da poco, ed è un film di una modernità incredibile. Anche Alice's Restaurant racconta un momento particolare, una voglia di aggregazione tra persone che non trovano un posto preciso nella società, e che lo trovano intorno a questa figura femminile inafferrabile. Sono emblematiche le ultime parole di Arlo Guthrie, figlio del grande Woody: "potrete trovare tutto quello che volete nel ristorante di Alice, tranne Alice". È qualcosa di incredibilmente femminile. D'altronde la donna è mobile… E forse non è tanto che l'uomo sia cacciatore e la donna l'angelo del focolare, ma potrebbe essere che quando la donna vola leggera l'uomo, con i suoi muscoli, debba tenere il nido…

Dovendo pensare a 5 pezzi "difficili", invece?
Ce ne sono, sicuramente. Uno, bellissimo, potrebbe essere L'anno scorso a Marienbad. Più recente forse Tree of life, per quanto non sia "difficile" e ti porti per mano in una serie di emozioni… Non parlerei di Clint Eastwood, invece, che è uno che ha creato cose meravigliose, ma poi dichiara cose stupide, 'diverse' diciamo. Io mi chiedo come si faccia a fare Gran Torino e poi votare per Trump. Leone di lui diceva che aveva due espressioni, col cappello e senza cappello. Forse, se col cappello fa cinema, l'espressione migliore è quella col cappello…

E volendo salvare 5 film suoi?
Faccio fatica a rivedere i miei film: a differenza del teatro, dove sera dopo puoi cambiare qualcosa, lì gli errori arrivano sempre nello stesso punto. Potrei dirvi i 5 miei film che mi convincerebbero a smettere di fare il regista semmai, ma ci son anche quelli cui sono affezionato. Uno è Marrakech Express, al di là del valore estetico e cinematografico. A livello personale è stato l'inizio di tutto. O Turné, che è nato in un momento in cui chi l'ha scritto, chi l'ha prodotto e chi l'ha diretto stava vivendo una storia molto simile a quella dei personaggi. Educazione Siberiana è uno di quelli che riesco a vedere senza andare troppe volte a vomitare. Ma soprattutto a me piace uno che non è piaciuto a nessuno, Denti. Ha delle cose che potrei tornare a riproporre.

È stato vicinissimo a dirigere Torino, è qualcosa che ha ancora in mente o ha una diversa concezione dei Festival?
Ero stato molto onorato della proposta, ma tra Educazione Siberiana e Il ragazzo invisibile avevo una serie di problemi e non ebbi la possibilità materiale di occuparmene seriamente. Comunque trovo che non sia obbligatorio fare il direttore di un festival, come non è obbligatorio fare una serie tv, si può anche solo continuare a fare i propri film… In caso, forse, bisognerebbe inventarsi qualcosa di più allargato. Oggi il cinema deve porsi il problema di dove viene visto: la sala non morirà mai, ma è solo uno dei diversi modi in cui viene fruito. Sarei curioso di vedere un festival che non fosse solo in un luogo fisico. Chissà, ci pensiamo...

I nuovi media sono sempre stati una sua passione, eppure internet...
Secondo me i social sono veramente pericolosi, anche se posso sembrare controcorrente. Se ci pensate la stessa scuola era nata dopo la Rivoluzione Francese per tenere sotto controllo la gioventù. La giovinezza e per sua natura pericolosa. E in una società 'liquida' come la nostra e così difficile da afferrare…

Quindi resta concentrato sul sequel di Il ragazzo invisibile?
Vedrete il film tra un anno, ho appena finito di girarlo. Ci saranno gli stessi personaggi del primo, in una specie di Boyhood di supereroi. Il 'Ragazzo' è cresciuto, è diventato bravo, ha acquisito un maggiore controllo. Per altro, nella realtà, vorrebbe fare il regista di teatro, e questo mi piace molto. La sua sorellina, invece, una attrice francese di 19 anni che se vorrà continuare diventerà molto nota, anche se non so se consigliarglielo, è la figlia di uno degli attori del teatro che avevo come riferimento quando lo facevo io da giovane. Comunque con protagonisti di 16 anni i temi saranno necessariamente più complessi. A un certo punto diciamo che se i figli vogliono usare il potere che i genitori gli hanno lasciato devono riconquistarlo da capo, una frase che è un po' il tema del film. Nel quale il numero due ricorre, al di là del titolo, dell'essere un sequel: ci sono due madri, due gruppi, due tribù, due fratelli gemelli. È importante proprio il concetto di seconda generazione. Per altro finisce con uno sguardo tra i due ragazzi, come a trasmettere una sorta di eredità.



Di seguito i film scelti da Gabriele Salvatores per i suoi 'Cinque Pezzi Facili' del 34 Festival di Torino:

JULES ET JIM
di François Truffaut
(Francia, 1962, 105’)
1912. La storia di due amici, un austriaco e un francese, e della donna amata da entrambi. Il celebre triangolo amoroso ai vertici della nouvelle vague, adattato dal trentenne Truffaut (con Jean Gruault) dal romanzo del settantenne Henri-Pierre Roché. Un inno al libero sentire, alla soavità e alla purezza del tourbillon chiamato amore, messo in scena attraverso un’esplosione di sottili invenzioni registiche. Bertolucci lo omaggia in The Dreamers.

BLOW-UP
di Michelangelo Antonioni
(UK/Italia/USA, 1966, 111’)
Un fotografo di moda immortala di nascosto due amanti in un parco, e crede di avere assistito a un omicidio; ma fra ciò che accade e ciò che l’immagine registra resta un divario incolmabile. L’opera teorica di Michelangelo Antonioni è un mystery purovisibile, che fa percepire il sublime nella fisica del reale: all’esterno la Londra dei Beatles, fotografata da Carlo De Palma, e all’interno il parco, reso vivo dal vento. Palma d’oro a Cannes.

IF.../SE...
di Lindsay Anderson
(UK, 1968, 111’)
Mick Travis torna al College: angherie di anziani e docenti, limitazioni, pregiudizi, punizioni corporali. Ma Mick, i suoi tre Crociati e la Ragazza sono pronti a dar battaglia. Teorico, musicale e letteralmente incendiario, un film che uscì nel '68 (anticipandolo), ovunque vietato o censurato, ma che ha scavalcato i decenni con la sua rabbia evocativa. Diretto dal padre del Free Cinema, con Malcolm McDowell, che poi riprenderanno il personaggio in O Lucky Man!

ALICE’S RESTAURANT
di Arthur Penn
(USA, 1969, 35mm, 111’)
Un diciottenne newyorchese si iscrive al college per evitare l’arruolamento nell’esercito. Capellone e anticonformista, abbandona la scuola per unirsi a una coppia di amici che gestisce un ristorante. Ispirato a una canzone di Arlo Guthrie, figlio del leggendario Woody e protagonista del film, e diretto da Penn tra Gangster Story e Piccolo Grande Uomo, è un malinconico viaggio tra i rottami del sogno americano, lucida e disillusa testimonianza degli ideali di un’epoca.

THE STRAWBERRY STATEMENT/FRAGOLE E SANGUE
di Stuart Hagmann
(USA, 1970, 35mm, 109’)
Intrufolatosi tra gli studenti in protesta per portarsi a letto qualche bella ragazza, il giovane Simon svilupperà lentamente una coscienza politica e diverrà un leader della rivolta. Uno dei film simbolo della contestazione, basato su un libro di James Simon Kunen e vincitore del Premio della Giuria a Cannes nel 1970. Soundtrack con brani di Joni Mitchell e Crosby, Stills, Nash & Young, e, in una celebre scena, Give Peace a Chance di John Lennon.