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Il corvo, la fine del mondo e la città oscura: intervista al regista Alex Proyas

L'autore australiano ha diretto alcuni dei più interessanti film di fantascienza degli ultimi venticinque anni. Lo abbiamo incontrato a Sitges

16.10.2018 - Autore: Pierpaolo Festa
Il corvo, Dark City e, perché no, anche Segnali dal futuro nonostante si tenda a collocarlo tra le follie della filmografia di Nicolas Cage. Questi film li ha diretti l’australiano Alex Proyas, regista che non ha mai avuto paura di osare. E che si è fatto un nome all'interno del genere fantascientifico. C’era lui dietro la macchina da presa il giorno in cui quella maledetta pallottola ha ferito a morte Brandon Lee sul set de Il corvo: la sua carriera poteva essere distrutta sul nascere, e invece quel film è diventato cult. Anche perché Proyas – con il benestare della famiglia Lee – lo ha concluso. “E' stata la famiglia di Brandon a chiedermi di completarlo” – dice ricordando quel set, quando Film.it lo incontra al Festival di Sitges.

Lei è uno dei pionieri della tecnica digitale con cui si può resuscitare un attore al cinema. Una tecnologia che oggi viene usata sempre di più. Talvolta anche quando non ce n’è estremo bisogno, come è accaduto a Peter Cushing in Rogue One - A Star Wars Story. 
In effetti penso che sia sbagliato. Anzi è proprio una cosa terribile da fare: perché Peter Cushing non ha mai dato il benestare ai produttori, non ha mai firmato un contratto dove autorizzava la LucasFilm a resuscitarlo digitalmente. E’ stata la sua associazione a dare il benestare, ma devo dire che il risultato è quasi orribile: non è all’altezza delle potenzialità della tecnologia.

Negli anni Novanta è stato un miracolo finire Il corvo utilizzando questa tecnologia? 
All'epoca non avevamo scelta, l’uso di effetti speciali digitali è minimo nel nostro film: si trattava per lo più di una controfigura con una maschera di lattice che abbiamo inquadrato di spalle. In un paio di inquadrature abbiamo preso alcune immagini già girate con Brandon Lee e le abbiamo incollate digitalmente su un altro sfondo. Quando è morto avevamo girato il 95% del film. Non dovevamo fare molto altro. A parte quei trucchi, ricordo di aver riscritto una scena facendo in modo di inquadrare solo l’ombra di Eric Draven. Ecco, direi che noi abbiamo rimosso il personaggio piuttosto che cercare di ricrearlo. 

Inevitabile chiederle un ricordo di Brandon Lee. 
Brandon è stato coinvolto nel progetto sin dalle sue fasi iniziali. Ricordo che abbiamo lavorato tanto sulle sequenze d'azione. Mi ha fatto conoscere meglio gli action di Hong Kong: io conoscevo solo John Woo, Brandon mi ha mostrato alcuni film pazzeschi. Sul set ha lavorato tanto con i coreografi e suggerito loro diverse idee. Era lui che creava il balletto dell’azione, un balletto proprio come nei film di John Woo. 

In tre decenni si è specializzato nel cinema di fantascienza, e non ha mai fatto mistero della grande influenza di 2001 – Odissea nello spazio. 
2001 è il più grande film sperimentale della storia. Non c’è mai stato un film così unico. E non ce ne sarà un altro. Forse ci sarà un nuovo Kubrick, ma non ci sarà più un nuovo 2001. Quel film ha cambiato totalmente il modo in cui le persone guardano al cinema e anche alla vita stessa. Ricordo che avevo sei anni e mio padre mi portò a vederlo. “Che vuol dire quel finale?” – gli chiesi, ma lui non ne aveva idea, era più un tipo da cinema commerciale. Il suo film preferito era I cannoni di Navarone. Ma 2001 portava le masse al cinema: i miei lo videro in sala. Se il film uscisse oggi per la prima volta, allora avrebbe una distribuzione più indipendente e avrebbe serie difficoltà ad arrivare al grande pubblico. 
 
Ripenso a un film come Dark City che è una specie di cult fantascientifico di fine millennio. E credo che anche quel film oggi avrebbe serie difficoltà a trovare un distributore in sala. Cosa pensa delle piattaforme streaming come ancora di salvezza e nuovo orizzonte per film originali o coraggiosi?
Non ne sono entusiasta. Vedrai che come succede con tutto quello che Hollywood spreme, anche questo sistema affonderà. Per un po’ tutti abbiamo pensato alle piattaforme streaming come a una soluzione emozionante per noi registi. Una cosa rivoluzionaria. Oggi, però, noto sempre di più che anche qui il modello è quello della TV americana: le storie originali sono basate soprattutto sulla parola e soltanto dopo sull’immagine. Finirà come tutto il resto: più il budget di un film sarà grande, meno controllo sarà dato al regista.

Il suo ultimo film è proprio un blockbuster: Gods of Egypt, poco amato da pubblico e critica.
Mi rendo conto che alla mia età non posso più fare film di fantascienza ad alto budget, mi sposterò dunque nel cinema indipendente. Chissà, magari userò perfino un telefono per fare i miei film! E’ il prezzo da pagare se vuoi essere un regista e vuoi fare sentire la tua voce. 

Questo non vale per Christopher Nolan.
Ovviamente, ma Nolan ha campo libero perché ad oggi tutti i suoi film hanno avuto enorme successo al botteghino. E finché lo avranno allora andrà tutto bene per lui. Altrimenti dovrà tornare al punto di partenza. Poi ci sono le eccezioni come David Lynch, che è uno dei miei idoli. Lo scorso anno ha riportato in vita Twin Peaks e Showtime lo ha finanziato perché sapeva che il marchio della serie avrebbe attratto tanti fan. Per questo ha concesso a Lynch libertà di fare una cosa veramente folle e bellissima. E' stata un'eccezione, perché Lynch è uno che non riesce a fare film da quindici anni. L’industria non vuole più i suoi film. Ed è una tragedia. Ma è questo il business che ci siamo scelti. 

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In uno dei suoi ultimi film, Segnali dal futuro, ha distrutto il pianeta Terra in seguito a un’eruzione solare. Come è riuscito mantenere quel finale intatto fino alla fine della lavorazione? I produttori non le hanno mai chiesto un lieto fine?  
Quel finale era già presente sin dalla prima stesura della sceneggiatura. Io stesso non ci credevo. A quel punto ho detto ai produttori che se avessi fatto il film allora quel finale sarebbe rimasto fino alla fine. In qualche modo glielo ho fatto promettere…
 
Segnali dal futuro è ricordato soprattutto per il finale. Nella sua recensione il guru Roger Ebert ha assegnato cinque stelle al film. Il massimo.
Sì. Lui era un uomo con un ottimo gusto in fatto di cinema.