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I registi de I racconti dell'orso: “Il nostro film tra i fumetti e Terrence Malick”

Intervista a Samuele Sestieri e Olmo Amato, giovani autori alle prese con una toccante fiaba per immagini, finanziata con il crowdfunding

I racconti dell'orso

28.11.2015 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Il cinema è spesso un viaggio. Non solo nel senso più stretto del road movie, ma anche a livello metaforico: un film racconta il viaggio di uno o più personaggi alla scoperta di se stessi, o del mondo che li circonda. I racconti dell'orso di Samuele Sestieri e Olmo Amato è un stato un viaggio anche nella realtà: è un progetto nato da un viaggio dei due registi in Finlandia, a bordo di un furgone, con in mano il canovaccio di una storia non ben definita e la voglia di girare un corto sul campo. Un corto che poi si è trasformato in un vero film, presentato ora al Torino Film Festival.

La storia è quella di due personaggi misteriosi, il Monaco e l'Omino Rosso, caratteri fiabeschi che si inseguono tra paesaggi desolati e boschi maestosi e silenziosi. “Prima di tutto è venuto il viaggio – ci spiega Sestieri quando li incontriamo – Poi, quando ci siamo trovati a girare, ci siamo resi conto che incastrare il film in quel soggettino che avevamo scritto sarebbe stato limitante. Così abbiamo deciso di liberare il film: viaggiavamo, incontravamo persone, vedevamo cose. Poi parte di quel materiale è stata tagliata. Ma il 90% del film è frutto di incontri casuali”. La nostra intervista.


LEGGETE LA RECENSIONE DE I RACCONTI DELL'ORSO

Come è nato I racconti dell'orso?

Samuele Sestieri: Il progetto è nato nell'estate 2013, quando siamo partiti in furgone per la Finlandia, per un viaggio di una quarantina di giorni. L'idea era girare un piccolo corto e scoprire la Finlandia attraverso l'occhio della macchina da presa, come un filmino delle vacanze. Poi però ci siamo resi conto che, non essendo noi attori, dovevamo camuffarci per sopperire a questa mancanza, e così è nata l'idea dei travestimenti. Da un amico, Matteo De Gregori, ci siamo fatti costruire la maschera del Monaco, e siamo partiti con l'idea di questi personaggi che si muovono e si inseguono in un mondo che sembra quasi disabitato, come se l'umanità fosse improvvisamente scomparsa.

Olmo Amato: Ci siamo aperti all'imprevisto, a qualsiasi stimolo e luogo adatto a essere integrato nel film e nella storia. Lo stesso orsetto lo abbiamo trovato in un supermercato e, quando l'abbiamo visto, ci siamo detti: “Questo è il terzo personaggio del film, quello che ci manca per strutturare una storia un po' più complessa”.

Sestieri: Siamo tornati a Roma con un tera di materiale. La vera scrittura è arrivata al montaggio, non c'era una sceneggiatura, ma immagini che hanno iniziato ad attrarsi l'una con l'altra. A quel punto abbiamo capito di aver bisogno di altri professionisti per finire il film, così abbiamo contattato altri collaboratori, tra cui Virginia Quaranta, una cantante che ha creato il linguaggio pre-verbale dei due protagonisti. Poi, nel novembre 2014, è arrivato il crowdfunding, che è durato quaranta giorni. Non ha ricoperto tutti i costi del film, ma un quarto del budget. Siamo stati sostenuti da amici e parenti in primis, e senza il crowdfunding probabilmente avremmo finito il film tra altri due o tre anni...

Il sound design del film è molto curato, a differenza di molti prodotti italiani contemporanei. Mi è parso anche di cogliere diversi rimandi al lavoro di Ben Burtt sul sonoro di Star Wars...

Sestieri: Il suono è uno degli aspetti che abbiamo curato maggiormente. Ecco come è andata: siamo partiti con l'intento di registrare l'audio in presa diretta, ma essendo solo in due non è venuto bene e siamo stati costretti a buttare quasi tutto il materiale. A Roma abbiamo deciso di ricostruire in maniera creativa l'audio e abbiamo pensato di rivolgerci alla New Digital, una società di vecchi rumoristi romani che un tempo lavoravano a Cinecittà. In una saletta, hanno ricostruito artigianalmente i rumori come si faceva una volta: dai passi, alle zanzare, ai versi degli uccelli che hanno rifatto con la voce. È stata un'esperienza molto divertente.

Amato: Oltre alla sonorizzazione dei passi, dei movimenti e degli ambienti, un grande lavoro è stato fatto anche da un altro nostro collaboratore, Remo De Vico, che ha lavorato solo sul monaco. È partito dalla nostra idea di lavorare sui suoni dei computer, dei floppy, degli inceppamenti dei meccanismi di una tecnologia vintage. Guerre Stellari è stato uno dei suoi punti di riferimento.

Sestieri: Un punto di riferimento più suo e del musicista. Noi non abbiamo mai pensato in maniera consapevole a Guerre Stellari. Eppure tutti i nostri collaboratori ci parlavano di George Lucas, di Guerre Stellari, persino il Festival di Torino quando ci ha selezionato. La cosa ci diverte molto.



Del film siete registi, autori della fotografia e interpreti. Potete parlarci del vostro background?

Amato: Non abbiamo mai fatto scuole di teatro. Io, che interpretavo l'Omino Rosso, ho dovuto improvvisare e cercare di creare delle movenze in linea con il personaggio. Le prime riprese sono state un po' più goffe, poi man mano tutto ha preso forma e ci siamo divisi i ruoli...

Sestieri: Inizialmente pensavamo che io avrei ripreso e Olmo avrebbe interpretato entrambi i personaggi, ma poi ci siamo resi conto che sarebbe stato troppo stressante e anche impossibile, perché in molte scene i personaggi erano in campo contemporaneamente. Noi non siamo attori, all'inizio non ce la sentivamo di metterci in scena, ma è stata un po' una necessità. Per quanto riguarda il background, io e Olmo veniamo da due formazioni molto diverse: io da un'accademia di cinema...

Amato: Io invece mi sono laureato in neurobiologia e ora faccio il fotografo. Mi sono appassionato di fotografia grazie a mio padre. Ora mi sono avvicinato al video, alla post-produzione, ai software di lavorazione. Con Samuele mi sono trovato bene, le conoscenze di uno compensavano le lacune dell'altro.

Il film ha anche un po' l'aspetto di una graphic novel in movimento. La sua storia e l'immaginario sarebbero perfetti per una graphic novel di accompagnamento al film. Qual è il vostro rapporto con il fumetto?

Sestieri: I tre riferimenti principali che avevamo in mente durante il montaggio, più che le riprese, sono stati il fumetto, il mondo dell'animazione e in parte i videogame. Con alcuni dei nostri collaboratori, specialmente Marianna Coppo, che fatto alcune illustrazioni che si vedono nel film, avevamo in effetti l'intenzione di raccontare altre storie con questi personaggi sotto forma di fumetto e illustrazione.

Allargando lo spettro, qual è il vostro immaginario cinematografico di riferimento?

Sestieri: Abbiamo un amore incondizionato per Jurij Norstejn, Il riccio nella nebbia è stato il riferimento più forte.

Amato: Lo vedevamo in continuazione prima di partire, e anche durante il viaggio abbiamo cercato di avvicinarci a quell'estetica.

Sestieri: Non solo all'estetica, ma anche a quel tipo di calore. Poi siamo appassionati di Isao Takahata, Hayao Miyazaki, ma anche della Disney. Al di fuori animazione, io sono da anni un fan di Terrence Malick e questo non poteva non venire fuori nei codici di montaggio e nel rapporto dei personaggi con la natura.



E adesso, quale sarà la vostra prossima mossa?

Amato: Beh, già siamo riusciti a compiere questo miracolo. Per noi era impensabile anche solo finire le riprese e il film, ci abbiamo messo due anni e mezzo...

Sestieri: Vedersi in sala è un sogno che si avvera, a Torino poi è stato incredibile. Stiamo provando a trovare una distribuzione, ci rendiamo conto che un film del genere non può piacere a tutti, ma vedremo che distribuzione potrà avere. Chiuso con questo vorremmo passare a un secondo lavoro, o magari a un secondo viaggio, chissà. Ci piace unire cinema e viaggio, siamo due herzoghiani convinti!

Per concludere, la domanda che facciamo sempre a chi intervistiamo: che poster avevate in camera da ragazzi?

Sestieri: Io ero già un nerd cinefilo da piccolo, i miei mi compravano Ciak ogni mese e appendevo le cartoline con le locandine dei film che si trovavano dentro. Sul soffitto avevo anche un poster di E.T. Anche se non l'ho detto prima, Spielberg ha alimentato l'infanzia di tutti e due e non possiamo dimenticarlo.

Amato: Poster di film non ne avevo, ma ho sempre avuto la camera piena di disegni di Escher. Mi piacciono le sue strutture matematiche impossibili.
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