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Daniele Luchetti, Felice a Toronto

Il regista romano ha scelto il Festival di Toronto per presentare Anni felici, il suo ultimo personalissimo film, di cui ci parla dal Canada...

Gli anni felici di Luchetti a Toronto<br>

09.09.2013 - Autore: Mattia Pasquini
Dopo aver raccontato la storia di un'altra famiglia in Mio fratello e' figlio unico e quella di un suo contemporaneo in La nostra vita, con Anni felici si chiude questa ideale trilogia firmata Daniele Luchetti. L'analisi, nel film interpretato in maniera molto convincente dalla coppia Kim Rossi Stuart (ancora una volta intrigato e interessante in uno studio anche linguistico del suo personaggio) e Micaela Ramazzotti (sempre molto comunicativa e aderente al sentire del suo personaggio), stavolta si sposta alla stessa vita del cineasta di Roma. Anche inconsciamente, a quanto ci racconta...

"Quando ho presentato Mio fratello è figlio unico a un festival in Israele - racconta Luchetti - uno scrittore che amo moltissimo, Abraham Yehoshua, mi disse: 'mi piace molto questo film perché la famiglia è la chiave del racconto del tuo Paese. Mentre per noi e' la terra, per altri l'ambizione, per gli italiani è la chiave attraverso la quale io capisco il tuo Paese'. Questo mi ha molto incoraggiato a continuare a raccontare questo tema, che anche in maniera inconsapevole ho affrontato in altri due film".

Una rappresentazione "rigorosa" dei personaggi, gli stessi della sua vita (compreso se stesso e il suo desiderio di avere una cinepresa per fare i suoi propri film), che fa parte di un quadro di quell'epoca, con le sue ambiguita' e curiosita', anche sessuali, come mostra il legame omosessuale che si sviluppa tra la protagonista Serena e la sua amica gallerista. "In quegli anni era molto frequente - racconta il regista, a spiegare la scelta - le donne trovavano il rapporto con l'uomo insufficiente, non riparabile, e molte famiglie si sono rotte nel tentativo di ricostruire un rapporto diverso con un'altra donna. Inoltre ho pensato che agli occhi di un uomo, essere tradito con un'altra donna, fosse piu' forte; tant'e' vero che lei dice di essere innamorata, e lui va in tilt, perche' non puo' pensare di essere superato da un'altra donna".

Forse - come succede a Guido, artista con velleita' di avanguardia ma troppo condizionato dalla tradizione (e da una madre "insoddisfatta, perennemente, che proietta la propria insoddisfazione sul figlio") - il film non riesce a staccarsi da una linea gia' vista, ma in compenso la coerenza interna e l'aderenza al 'progetto' dichiarato inizialmente sono assolute. La curiosita' resta, semmai, su quel che vedremo in seguito a firma Luchetti, molto determinato nel 'seppellire' i propri antenati cinematografici.
Massimo rispetto per i Fellini, gli Antonioni, ovviamente, ma come ci confessa: "Mi piacerebbe che mi si dicesse questo film l'ha fatto Luchetti, non e' bello come un film di Fellini, ma e' un film personale".

Sicuramente l'obiettivo e' raggiunto. E non senza difficolta'. Soprattutto quelle seguite alla rinuncia al Festival di Venezia, con il confronto con un mercato internazionale come quello del Festival di Toronto che lo continua ad affascinare. "Mi piacerebbe lavorare con attori statunitensi, li amo molto. Trovo molto serio il loro lavoro e mi piace la tradizione americana - dice Daniele, che amplia il discorso alla situazione italiana, passata e presente - Non e' possibile paragonare questi anni agli anni '60 o '70, perche' allora tutti i talenti mondiali venivano in Italia a fare cinema. In Italia si facevano molti film americani e internazionali, molti scrittori famosi vivevano nelle nostre citta', molti grandi artisti. Si veniva in Italia per fare cultura. Oggi la gente che vuole fare cultura, deve scappare dall'Italia. Non siamo piu' in un incrocio di culture, ma siamo una cultura piu' piccola e autoreferenziale". Difficile contraddirlo, soprattutto quando conclude: "Inoltre il cinema non ha soldi. Prima facevamo 400 film l'anno, oggi 150. Se vediamo quanti tra questi sono di qualita', forse la proporzione e' molto simile. Certo non ci sono i talenti immensi che c'erano allora, ma era un periodo magico, irripetibile. Non ci sono piu' nemmeno i John Ford negli Stati Uniti, o i Fritz Lang".

Oggi piu' che mai il cinema passa attraverso la capacita' di raccontare qualcosa che sia proprio e l'esperienza personale. Un'impresa non facile per un "isterico", come si definisce sorridendo Luchetti, che pero' aggiunge: "quando lavoro cerco di farmi trasportare dall'istinto. Se sei preoccupato per i tempi, la luce, i soldi non puoi seguire l'istinto. Io cerco di cancellare, dimenticare, tutto quello che e' concreto, quello che e' un peso, per concentrarmi solo sulla storia". "C'e' una battuta del film che dice 'abbiamo perso la nostra innocenza, anzi l'abbiamo trovata': Credo che l'innocenza sia un traguardo", e' l'arrivederci del nostro regista, che evidentemente ci sta ancora lavorando. D'altronde, anche "Picasso diceva che ci aveva messo tutta la vita per imparare a dipingere come un bambino"...

Anni felici, in uscita il 3 ottobre, è distribuito dalla 01 Distribution.