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Roma: Dylan Dog non convince

I primi venti minuti di "Dylan Dog" evidenziano tutti i difetti visti nel trailer: poca fedeltà al personaggio, protagonista fuori parte e regia televisiva

Dylan Dog - Brandon Routh

01.11.2010 - Autore: Marco Triolo
Cinque secondi di applausi hanno chiuso la proiezione dei primi venti minuti di “Dylan Dog: Dead of Night”, ieri notte. Cinque secondi che avevano più il sapore di un gesto educato, o forse di un'auto-giutificazione per aver speso sei euro e cinquanta centesimi di biglietto o, per chi di noi è entrato grazie al pass, aver aspettato fino a mezzanotte per un evento che si preannunciava già come un non-evento. Chi scrive ha cercato di mantenere la propria obiettività entrando nella sala. Un'attitudine per nulla scontata dopo la visione del primo trailer, diffuso in rete poco tempo fa. Dylan Dog” aveva tutta l'aria di un disastro annunciato e, basandoci su questi pochi minuti, dobbiamo purtroppo confermare l'impressione iniziale.

Un banale elenco delle cose che non ci avevano convinto durante la lavorazione del film: lo spostamento dell'ambientazione da Londra a New Orleans, la scelta del regista Kevin Munroe (autore dell'ultimo “Ninja Turtles”) e infine quella di Brandon Routh nei panni di Dylan. Il giovane mascellone dall'imponente muscolatura nei panni del longilineo investigatore creato da Tiziano Sclavi e basato sulle fattezze di Rupert Everett. Ancora, dopo la visione non possiamo che confermare che tutti questi dubbi si sono tradotti sullo schermo in evidenti errori. Ma c'è di più.

Regista e sceneggiatori promettevano che, nonostante i cambiamenti necessari per adattare l'Indagatore dell'Incubo in un film appetibile per il pubblico americano, ci sarebbe stata una grande fedeltà al cuore del fumetto. Ma a parte alcune strizzate d'occhio ai fan per tenerli buoni (Dylan vive in “Rue Craven”, guida un maggiolone e nella prima scena si vede una foto in cui porta gli occhiali e il naso di Groucho Marx), tutto il resto è qualcosa di così radicalmente diverso dal personaggio a fumetti da farci chiedere perché Platinum Studios abbia pagato i diritti quando poteva fare un film simile con nomi diversi. Il Dylan di Routh palesa subito la sua consapevolezza che “i mostri che credevate roba da film sono veri”. Qualunque fan del fumetto saprà che già questo è considerabile alto tradimento, perché Sclavi descrive sempre Dog come uno scettico, nonostante tutto. Il suo understatement tipicamente inglese sparisce per lasciare spazio a un investigatore banale che scimmiotta pure lo “Sherlock Holmes” di Guy Ritchie, in una scena che mostra le sue abilità deduttive e la sua capacità di persuadere l'avversario a parole.

Le sequenze che abbiamo visto ruotano intorno a un delitto, commesso da quello che appare essere un licantropo. La figlia della vittima (Anita Briem) chiama Dylan e gli chiede di indagare, ma lui rifiuta perché si è lasciato quella vita alle spalle. Il suo assistente Marcus (Sam Huntington, già con Routh in “Superman Returns”) cerca di convincerlo ad accettare, ma è solo l'assassinio del ragazzo a farlo tornare in pista. Dylan indossa dunque il famoso completo (giacca nera, camicia rossa e jeans) e si reca a investigare in casa della ragazza. Lì raccoglie prove (i peli del lupo mannaro) e procede a spiegare alla sua cliente che vampiri e licantropi vivono tra gli umani in città. Nel frattempo facciamo anche la conoscenza di Vargas (Taye Diggs), proprietario di un nightclub per vampiri fin troppo simile a quello di “Blade”, dove i succhiasangue amano stordirsi con una nuova droga sintetica.

Il tutto ha un aspetto da produzione televisiva, dalle parti di “Buffy”, e non conserva neppure un'oncia del fascino surreale delle storie originali. L'unica giustificazione possibile è che abbiamo solamente il preambolo e nessuna scena d'azione. In ogni caso, “Dylan Dog” sarà indubbiamente un enorme successo in Italia, ma se cercate la cosa più vicina a un film di Dylan Dog esiste già: si chiama “Dellamorte Dellamore” di Michele Soavi, con Rupert Everett. Siete avvertiti.