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Michael Moore: L'Incubo Americano!

Per la prima volta alla Mostra del Cinema di Venezia arriva Michael Moore con "Capitalism: A Love Story", in uscita nei cinema il 2 ottobre. Umorismo ed indignazione per cercare di capire la crisi economica che ha investito gli Usa e il Mondo intero.

Capitalism: A Love Story - Poster Usa

07.09.2009 - Autore: Nicoletta Gemmi
Michael Moore diventa sempre più bravo come cineasta. E, alla proiezione per la stampa del suo “Capitalism: A Love Story”, in Concorso a Venezia 66. c’era il tutto esaurito. Gli ingredienti rimangono quelli di “Sicko” o di “Fahrenheit 9/11” (Palma d’Oro a Cannes nel 2004) molta ironia che fa a lungo riflettere sulla terrificante situazione economica che gli Stati Uniti e il pianeta intero sta attraversando. In realtà questo ultimo lavoro di Moore è quello più legato al suo film di debutto, il bellissimo “Roger & Me” del 1989 nel quale il cineasta cercava ardentemente e invano di parlare con il capo della General Motors per avere delle risposte sui numerosi licenziamenti in atto.

Il padre di Moore – che appare in questo ultimo film – ha fatto l’operaio per 33 anni presso la General Motors la cui sede centrale si trova a Flint in Michigan, città natale del cineasta. Dicevamo che Moore diventa sempre più bravo in quanto in “Capitalism: A Love Story” vediamo lui farsi sempre più da parte per lasciare spazio a geniali ed indispensabili interviste frammentate da spezzoni di vecchie pubblicità, materiali di repertorio che comprendono scene di film o personaggi noti che propagandano il Capitalismo. Il tutto con un montaggio serrato ed efficace. Il finale è davvero grandioso. Moore prende del nastro adesivo, quello usato dalla scientifica per i casi di omicidio (con su scritto: Crime Scene) e circonda l’edificio della Goldman Sachs una delle banche i cui vertici sono tra i maggiori responsabili di questo tracollo totale. Invita quest’ultimi ad arrendersi e il pubblico ad unirsi a lui. E anche velocemente se è possibile perché Moore è stanco e ha bisogno di solidarietà per continuare a lottare.

Al centro di tutta l’opera l’impatto disastroso che il dominio delle corporation hanno svolto sulla vita quotidiana di milioni di americani (e, quindi, anche del resto del mondo). Ma questa volta i colpevoli sono tanti e risiedono soprattutto nel Congresso Americano, anche fra i Democratici, che nel periodo di Clinton hanno nominato Ministro del Tesoro Robert Rubin che insieme ad Henry Paulson, è uno dei maggiori responsabili di questi crimini.  Qual è il prezzo che l’America paga per il suo amore verso il capitalismo? Anni fa, quell’amore sembrava assolutamente innocente. Oggi, il sogno americano sembra sempre più un incubo, mentre le famiglie ne pagano il prezzo vedendo andare in fumo i loro posti di lavoro, i loro diritti, le loro case e i loro risparmi. Moore ci porta nelle abitazioni di persone comuni, le cui vite sono state stravolte mentre cerca spiegazioni a Washington, a Wall Street e altrove. Quello che scopre è doloroso, è una storia d’amore finita male: bugie, maltrattamenti, tradimenti e 14.000 posti di lavoro persi ogni giorno. Chi siamo e perché ci comportiamo in questo modo? Questa è la vera domanda che ogni essere umano si deve porre.

Quando inizio un film – ci dice Moore il mio primo pensiero va al pubblico. A quella famiglia che un venerdì sera decide di uscire, chiamare una baby sitter e andare a vedere il mio film. Quindi non parlo solo ai democratici o alla gente di sinistra degli Stati Uniti, spero di riuscire a coinvolgere anche ‘l’americano medio’. Io non ho mai creduto al sogno americano, per me sogno americano è la consapevolezza di vivere in un Paese dove i concetti di democrazia e giustizia hanno ancora un senso. Però quando è l’economia a guidare una nazione la democrazia non esiste più. I cittadini non hanno più voce in capitolo. Facendo questo film mi ha enormemente colpito la forza che hanno dimostrato e dimostrano tutti coloro che hanno avuto le esistenze completamente rovinate da questa crisi economica pazzesca”. Pensa che il popolo americano si ribellerà? “Ha già cominciato a farlo – continua Moore – votando per Obama nel novembre del 2008. Ora non è possibile pensare che un solo uomo possa cambiare tutto, per questo invito gli americani ad una ribellione pacifica, per riconquistare i loro diritti. La democrazia non è uno sport da spettatori ma da partecipanti”.