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In attesa di un cenno dall'alto

Bello e toccante "Lourdes", in concorso al festival di Venezia. Ecco la recensione.

Lourdes

04.09.2009 - Autore: Andrea D'Addio
Afferma la regista Jessica Hausner di essersi ispirata a “Ordet” di Dreyer per la sua rappresentazione dl miracolo e all’umorismo di Jacques Tati, per realizzare “Lourdes”, film in concorso alla 66 Mostra del cinema di Venezia. Paralleli alti, sicuramente ambiziosi, ma che sottolineano la profondità di forma e contenuto ricercata dalla cineasta austriaca.

Un gruppo di persone con gravi problemi fisici si reca in pellegrinaggio a Lourdes. Un miracolo è tale perché è quasi impossibile che avvenga, eppure tutti i partecipanti della spedizione logicamente lo anelano, lo ritengono come la vera ragione del viaggio, seppure sanno bene che non si può dire. La nostra protagonista (interpretata da una bravissima Sylvie Testud) è una ragazza affetta da sclerosi multipla. Non può più camminare né muovere gli arti inferiori. L’assistenza che riceve deve essere completa. La ragazza che l’accompagna è una giovane volontaria dell’Ordine di Malta, più occupata però a flirtare con i ragazzi che a prendersi cura dei bisogni della giovane inferma. Tour organizzati del genere significano pianificazione. Ecco quindi la passeggiata nella grotta, la messa e la benedizione comune, la foto di gruppo, la mensa e la festa di fine gita. La disperazione di tutti è palese: a Lourdes sembra che nessuno ci arrivi per purificarsi l’anima, come un prete dice ad una donna che chiedeva quale iter di azioni seguire affinché un miracolo avvenga, ma per sentirsi il più vicino possibile alla guarigione non del contenuto, ma del contenente, di quel corpo che si ribella dolorosamente alla vita.

Con secchezza narrativa, un’immobilità delle inquadrature che è solo apparente (i movimenti spesso sono lenti e/o impercettibili, ma sempre funzionali e significativi) e un’amara ironia che cresce a poco a poco, fino ad un finale tanto nero quanto grottesco, la Hausner costruisce una storia di speranza e desolazione, di attimi e eternità. Ad essere prese di mira non sono solo le dinamiche interne alla classe di credenti, ognuno a suo modo rivolto più verso sé stesso che al prossimo, ma il significato della parola “felicità”. E’ lo stato emozionale a cui tutti ambiscono: è possibile identificarlo con traguardo materiale, o nascerà sempre da noi, dal nostro rapporto con gli altri, con il tempo e quel continuo senso di spaesamento che tocca, prima o poi, una o più volte durante la nostra esistenza, tutte le nostre vite?

Lourdes” riesce a porre, soprattutto con il lancinante epilogo, queste domande. Senza retorica, senza blasfemia. Non è poco. Non è assolutamente poco.