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I'm Still Here: la nostra recensione

Casey Affleck presenta a Venezia il documentario shock su Joaquin Phoenix ma il sospetto che si tratti di una truffa è un'ipotesi che in alcuni momenti della visione è davvero difficile respingere.

I'm Still here

07.09.2010 - Autore: Ludovica Sanfelice, nostra inviata al Festival di Venezia
Ma che cos’ha che non va la famiglia Phoenix? Guardando il documentario, che il collega/amico/cognato Casey Affleck ha dedicato a Joaquin è impossibile non chiedersi da dove arrivi quella carica di autodistruzione che ha spazzato via River per un’overdose e che ha trasformato suo fratello in uno psicotico paranoide in preda ai deliri di onnipotenza. Ma andiamo per ordine:  “I’m still here”, opera prima di Casey Affleck, è arrivata al Lido per raccontare cosa è successo quando Joaquin Pheonix, in piena ascesa professionale, ha deciso di piantare tutto in asso e darsi al Rap senza saperne un accidente di musica e, fatto gravissimo dalle parti di Hollywood, senza avvisare il suo ufficio stampa…

Questo ritratto acidissimo arriva al Festival a complemento dell’elegante “Somewhere” di Sofia Coppola per raccontarci l’infelice vacuità della vita delle star che nel caso specifico di Joaquin Phoenix si traduce in una crisi d’identità spaventosa che fa sragionare l’attore e lo convince a sottrarsi al consenso del pubblico per poi cercarlo di nuovo immediatamente e disperarsi se non arriva.

Lo spettacolo è tutt’altro che bello. Phoenix, in stato confusionale, si lascia riprendere, senza porre limiti, nelle condizioni più indecenti e gore, e quello che si presume sia il suo amico lo guarda distruggersi, anzi peggio lo registra e lo trasforma in una sua opera. Phoenix è talmente presuntuoso e fuori di testa da permettersi di prendere a calci un mestiere perché non fa capire al mondo chi sia davvero lui, e così sciocco o lesionista da umiliarsi con crudeltà. Che si tratti di una truffa è un’ipotesi che in alcuni momenti della visione è davvero difficile respingere per l’arte con cui certe scene sono state girate. Comunque la si voglia prendere, quello che scorre sullo schermo è tragico e se anche fosse un esperimento beffardo, un mockumentary freak, l’elemento tragico non cadrebbe, anzi…

La cosa che rende interessante “I’m still here” è d’altro canto la molteplicità di temi che è capace di toccare sulla cresta dei diversi stadi di follia di Phoenix. Ci sono soprattutto la crisi di un artista, il cannibalismo dei media, e la manipolazione sia dell’artista sia del medium che in questo caso è il cinema. Non si capisce bene se Affleck abbia sotto stretto controllo la situazione o se ci arrivi per caso rinunciando con nichilismo a ogni pietà. A sciogliere i dubbi sull’onestà dell’operazione dovrà pensarci Phoenix in carne ed ossa, per quanto riguarda le qualità di Casey Affleck meglio rimandare all’opera seconda.