Biennale Venezia 2013
NOTIZIE

L'uragano Friedkin a Venezia: “Non chiamatemi selvaggio, io sono come sono”

Una chiacchierata in laguna con il Leone d'oro alla carriera

29.08.2013 - Autore: Pierpaolo Festa, da Venezia
Il giorno del settantottesimo compleanno di William Friedkin, coincide con quello in cui la Mostra del cinema lo premia con il Leone d'oro alla carriera. Il cronometro segna novanta minuti alla cerimonia di premiazione e Friedkin trova tempo da dedicare a Film.it su una delle svariate terrazze dell'Hotel Excelsior, davanti all'Adriatico.

Quando “Hurricane Billy” ti dedica mezz'ora per parlare del suo cinema, l'istinto immediato è quello di sparare titoli della sua filmografia a raffica per analizzarli tutti e subito, appagando la curiosità brutale sul suo cinema. “Nessuno si è mai permesso di chiamarmi 'Hurricane Billy' – afferma il regista quasi fosse un pistolero minaccioso del west - quel soprannome me lo ha appioppato un idiota in un libro che è stato scritto in passato. Ma non è un soprannome ufficiale”. Friedkin, colonna portante del più interessante cinema statunitense da oltre quaranta anni, è una vera contraddizione vivente. E un uomo esilarante. Il regista di Chicago ci tiene a precisare di non festeggiare il suo compleanno, allo stesso tempo afferma: “Mi raccomando, applauditemi più forte che potete durante la cerimonia che mi dedicano”.

Una volta superati i convenevoli, spariamo il primo titolo: Cruising. “Girare quel film è stata una gioia, anche se Al Pacino era sempre in ritardo. Non riusciva a svegliarsi presto e prepararsi per arrivare sul set. La sua performance è bellissima, però professionalmente i suoi modi erano proprio mediocri”.

Con quel film si è però ritrovato per un momento nell'occhio del ciclone...
Proprio così. La comunità gay protestava contro il film perché erano convinti che sarebbe stato un attacco verso di loro. Molti scrivevano che avrebbe creato loro tanti problemi, che avrebbe aumentato il rischio di omicidi omofobi. Era una vera e propria campagna basata sulla paura. Oppure mi screditavano semplicemente dicendo che ero "troppo etero per fare un film sui gay". Io non mi consideravo né etero né gay. Ero un essere umano che voleva girare un thriller ambientato in quel mondo.

Inevitabile chiederle quanto sia stato ispirato dal cinema italiano...
Sono sempre rimasto ipnotizzato dal cinema dell'epoca, dai film diretti da Rosselini, Bertolucci o Fellini. Non smetto mai di guardarli, anche in Blu-ray. Non ho mai cercato di imitarli perché non avrei mai potuto: quei film parlano di un'altra cultura, però raccontano ansie e paure comuni. Sottolineano la complessità della natura umana, una cosa che anche io ho provato a descrivere.

Quale invece dei suoi colleghi americani ha sempre stimato?
All'epoca, quando facevo ancora film prodotti dagli Studios, uno dei miei eroi era John Cassavetes. Lui era il vero indipendente: uno che adorava fare cinema e che per girare un film si ipotecava la casa. Ovviamente ancora non avevano inventato Kick-Starter... Meno male che lui aveva un pubblico che ammirava il suo lavoro.

Rileggendo o ascoltando le interviste ai suoi attori, c'è qualcuno che la definisce “selvaggio”...
Chi è stato?

Matthew McConaughey ad esempio...
Voleva farmi un complimento: lui è dell'East Texas e da quelle parti la definizione di “Selvaggio” è una cosa bella. Un complimento. Non sono mai stato così estremo: non è che arrivassi sul set completamente nudo o peggio. Ero me stesso, applicavo il mio metodo...

Torniamo a prendere un altro titolo dal suo cinema: Jade...
Amo quel film. La Warner lo ha appena comprato per farlo uscire i una versione Blu-Ray...

Pare che quel film abbia avuto problemi nella scelta del finale. Si dice che sia legato alla scelta dello Studio. Le è mai capitato di far passare i suoi film in proiezioni test prima che venissero distribuiti?
Mai. Sono le cose più stupide. Non voglio che il pubblico diventi il critico principale del mio film. Voglio che invece viva l'esperienza. Se avessi fatto una “test screening” per L'esorcista, forse non sarebbe mai arrivato nei cinema. Pensate che il pubblico di prova avrebbe gradito la scena in cui la ragazzina si masturba con il crocifisso? Me la avrebbero fatta tagliare subito!

C'è un film che sta preparando al momento?
No. Leggo tanti copioni, ma non ce n'è uno che mi ha stregato. Tornerò invece a lavorare in TV. E poi spero di dirigere un'altra opera: l'idea è quella di portare Rigoletto a Firenze nel 2015. Lavorerei con Placido Domingo.

Un'ultima domanda: se un suo film potesse essere “esposto” al Louvre, quale sceglierebbe?
Tutti i film hanno significato tanto per me, specialmente nel momento in cui li ho girati. Nel 1972 vinsi l'Oscar per Il braccio violento della legge, ma non pensavo che quel film lo meritasse. Non lo vedo come il migliore tra i miei film. Però mi fa piacere che sia stato amato così tanto. Vuoi sapere qual è quello che amo di più? Il salario della paura: non credo che sia meglio degli altri, però è quello che si avvicina di più alla mia visione. Parla di quattro persone che di odiano e che devono collaborare insieme per andare avanti. E' una metafora attualissima del mondo di oggi.

Per saperne di più
Top Five: Friedkin, velocità e paura
I quaranta anni de L'esorcista: nuova edizione Home Video

FILM E PERSONE