Biennale Venezia 2013
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Gravity – La nostra recensione

Il miracolo visivo di Alfonso Cuaron, film di apertura a Venezia

28.08.2013 - Autore: Pierpaolo Festa, da Venezia
Pochi sono i registi in grado di ipnotizzare chi sta a guardare nel tempo di una manciata di fotogrammi. Alfonso Cuarón ci riesce in meno di trenta secondi dall'inizio del suo nuovo film. A differenza di molti sci-fi realizzati in passato, la sua macchina da presa non racconta lo spazio. Lo attraversa in pieno.

Destinato a restare nella memoria cinematografica, Gravity è la nuova opera d'arte firmata Cuarón (che lo ha sceneggiato insieme al figlio Jonas). La dimostrazione che la tecnologia ha superato i suoi limiti ancora una volta, trasformando ogni pixel in realtà. Scrivere che si assiste a un viaggio nello spazio sarebbe errato. Perché lo spettatore viene sparato in orbita nei perfetti quadri cinematografici "cuaroniani", mentre il regista muove la macchina presa a 360 gradi in tutte le direzioni.

“Vivere nello spazio è impossibile” recita una scritta in apertura. Quel che segue nei novanta minuti successivi è il viaggio sciagurato di due astronauti alla deriva. Una vera e propria odissea in assenza di gravità e (a tratti) di ossigeno. In mezzo al buio, nella profondità del palato spaziale, George Clooney si ostina a vedere il bicchiere mezzo pieno davanti alla realissima possibilità di morire. Affronta il buio con la solita classe da pseudo-ragazzaccio affascinante con l'anima da boyscout. Sandra Bullock, invece, si fa prendere dal panico al punto da smettere di respirare per un buon minuto. Si riprende e rimette in moto il cervello attivando il suo istinto di sopravvivenza. Poi si blocca di nuovo. Poi si riprende in un continuo loop disperato.

Messa in cantiere per diversi anni, la nuova sfida visiva del regista messicano non è solo una tesi sulla tecnologia cinematografica e le sue possibilità, ma dietro ogni sequenza spettacolare riecheggia degli stessi aspetti spirituali di cui il precedente capolavoro I figli degli uomini era pregno. E sebbene questo Gravity non superi mai la bellezza di quel film, è un piacere vedere come il regista continui il suo viaggio visivo dell'anima.

La morte - simboleggiata dal buio e dal silenzio spaziale – rimane costantemente in scena. La Bullock, donna addolorata in fuga da se stessa e dalla Terra, attraversa un processo estremo di accettazione di sé. L'attrice non solo supera in pieno quello che è forse il ruolo più difficile della sua carriera ma in un paio di inquadrature si fa immortalare da Cuaron. Memorabile uno spogliarello in assenza di gravità.

Il rischio è che venga marchiato come esercizio di stile con una sceneggiatura prevedibile. In realtà si tratta di un rapporto biunivoco, dove le perfette immagini bastano a bilanciare uno script tutto sommato prevedibile. Allo stesso tempo quando la tecnica strema – e lo spettatore viene travolto nell'ennesima sventura - è proprio la sceneggiatura che si apre un po' all'animo dei protagonisti.

Gravity, in uscita il 3 ottobre, è distribuito dalla Warner Bros.

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